Sanità, la «non riforma Moratti» punta ancora sul privato
Lombardia Sulla stessa via anche la medicina di base. Mentre gli investitori mirano a Case e Ospedali della comunità
Lombardia Sulla stessa via anche la medicina di base. Mentre gli investitori mirano a Case e Ospedali della comunità
La riforma sanitaria in Lombardia «spingerà anche la medicina del territorio verso il settore privato». Ne è convinto Angelo Barbato, del Forum Nazionale per il Diritto alla Salute. Mentre in Aula a palazzo Pirelli continua la maratona sul testo della legge – che proseguirà fino al 26 novembre – le associazioni riunite nel Coordinamento regionale Dico 32 si mobilitano per spiegare cosa non funziona nella «non riforma Moratti».
«La cancellazione di oltre 22mila posti letto nelle strutture pubbliche e l’aumento di circa 2.500 in quelle private è il risultato di questi 20 anni. Il passo ulteriore contenuto in questa legge – che purtroppo sarà approvata perché i rapporti di forza non consentono diversamente – è la privatizzazione anche della medicina di base», spiega Barbato.
Nelle linee guida del Pnrr varato dal governo si precisa che i fondi saranno destinati a «investimenti strutturali e tecnologici». Manca la voce riguardante il personale. Stando alle intenzioni di Regione Lombardia, saranno circa 260 le strutture tra Case della comunità e Ospedali della comunità. «Un modo per consegnare gran parte di esse ai privati – aggiunge Barbato – Ospedali e case di comunità diventeranno preda di investitori che già si stanno preparando; veri e propri colossi finanziari. Come il Gruppo San Donato di Milano, il più grande d’Europa che possiede quasi 40 ospedali e migliaia di posti letto». Questo genere di «interazione» tra pubblico e privato inciderà su un approccio clinico sempre più orientato verso terapie e cure a posteriori e meno sulla prevenzione, come racconta da 20 anni e più un sistema sanitario regionale «ospedalocentrico». Secondo Barbato, a mancare è la pianificazione e il coinvolgimento dei sindaci, come già lamentato anche dalle forze politiche d’opposizione e dai sindaci stessi.
Un esempio è quello dell’ospedale universitario San Paolo di Milano che per delibera regionale del 6 settembre verrà convertito in «un polo di degenza a bassa intensità», cioè in Ospedale di comunità sottraendo a un bacino territoriale di circa 500mila utenti una struttura dotata di diagnostica, pronto soccorso (da oltre 10 mila accessi l’anno) e reparti specialistici. Il San Paolo, infatti, serve non solo l’area sud di Milano, ma anche della Città Metropolitana, privata negli anni di molte strutture pubbliche. «Il comune di Milano non ha avuto molta voce in capitolo in questa scelta, anche se una parte di responsabilità è del sindaco Sala. Ma non si può pensare di prendere decisioni simili senza consultare i territori». Il risultato di questo scollamento dalle realtà locali si è visto soprattutto durante la fase acuta della pandemia, quando «il privato ha lucrato, proponendo tamponi e visite domiciliari fino a 450 euro a cittadini chiusi in casa in attesa del servizio pubblico», spiegano dal Coordinamento Lombardo per il Diritto alla Salute.
Quanto al tema della mancanza di medici di medicina generale, che per l’assessora Moratti è soltanto «un problema di percezione», va ricordato che nei prossimi 5 anni ne mancheranno oltre 4 mila solo per pensionamento. «Bisogna ripensare il sistema di reclutamento delle risorse. Non solo in Lombardia ma in tutto il Paese. Partendo dall’istituzione di più borse di studio, dall’abolizione dei test d’ingresso a Medicina. Fino ad arrivare a una forma più completa di dipendenza dei medici di medicina generale dal Ssn, stabilendo che saranno loro a lavorare nelle Case e negli Ospedali di comunità», aggiunge Barbato. Le 52 associazioni lombarde che si stanno mobilitando contro la riforma hanno anche stilato un dettagliato documento di proposte alternative basate su «una medicina territoriale con bacini d’utenza limitati, dando priorità alla prevenzione della malattia anche attraverso la partecipazione della cittadinanza».
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