Sangue sul natale copto: 11 morti al Cairo
Egitto Fuoco contro la chiesa di Mar Mina, poco prima attaccato un negozio. Al-Azhar: tutti gli egiziani partecipino alle celebrazioni. Al-Sisi promette nuove truppe, ma il radicalismo trova terreno fertile nella miseria e la marginalizzazione
Egitto Fuoco contro la chiesa di Mar Mina, poco prima attaccato un negozio. Al-Azhar: tutti gli egiziani partecipino alle celebrazioni. Al-Sisi promette nuove truppe, ma il radicalismo trova terreno fertile nella miseria e la marginalizzazione
Sarà un natale di dolore: a una settimana dalle celebrazioni del 7 gennaio, il natale copto, la comunità egiziana è dilaniata dall’ennesimo attentato.
A poco è servito il dispiegamento di polizia ed esercito ordinato dal presidente al-Sisi nei luoghi «sensibili» della capitale: ieri mattina ad Helwah, sud del Cairo, due uomini hanno aperto il fuoco fuori dalla chiesa di Mar Mina, uccidendo otto civili e un poliziotto.
Uno degli attentatori è stato ucciso dagli agenti, il secondo è stato arrestato. Secondo le prime informazioni, si tratta del 33enne Ibrahim Ismail Mustafa, già noto alle autorità perché responsabile di sei omicidi a Giza e Beni Suef nel corso dell’ultima settimana. Con sé aveva una mitragliatrice, 150 munizioni e una bomba a mano.
Poco prima, i due attentatori a bordo di una motocicletta avevano sparato contro un negozio di elettronica, nel quartiere di Atlas, sempre ad Helwah, uccidendo due persone. Nella serata di ieri si sono tenuti i funerali collettivi delle undici vittime.
Immediata è stata la reazione della gente: una folla si è accalcata fuori dalla chiesa intitolata al santo Mina, dando voce alla paura che ormai accompagna e definisce ogni gesto della vita quotidiana. «Nessuno è al sicuro – dice Boshra, impiegato del ministero dell’agricoltura ai giornalisti di Middle East Eye – Dicono che in Sinai i terroristi attaccano perché in Sinai manca la sicurezza e noi diciamo ok, ma ad Helwan la polizia segue ogni passo che fai. Quanto meno bizzarro».
Al momento non ci sono rivendicazioni. Ma la lunga scia di attacchi dell’ultimo anno ha portato quasi sempre la firma dello Stato Islamico e delle sue «filiali» egiziane: il 26 maggio 28 morti nell’assalto di un commando ad un autobus di fedeli copti diretti al monastero di San Samuele; il 9 aprile, domenica delle palme, 43 uccisi in due attentati kamikaze contro chiese copte ad Alessandria e Tanta; lo scorso dicembre 30 vittime nell’assalto alla principale cattedrale copta del Cairo. Per citare solo i massacri più recenti.
Nel mirino c’è la minoranza copta, il 10% della popolazione egiziana, in Sinai come nelle grandi città dove centinaia di persone fuggono da mesi alla ricerca di protezione. Ma anche le minoranze musulmane, da ultimo quella sufi barbaramente attaccata alla fine di novembre: oltre 300 morti nella moschea di Al Rawda.
L’estremismo di matrice islamista si fa strada in Egitto, per nulla turbato dallo stato di emergenza che da marzo è stato allargato a tutto il paese, dalle leggi anti-terrorismo promulgate da al-Sisi per tenere a bada le opposizioni più che le cellule jihadiste, dal dispiegamento massiccio delle truppe nelle grandi città della costa come dell’entroterra.
Tutto il paese è minacciato da un lento sgretolamento: il popolo egiziano è vittima duplice, del terrorismo e delle politiche neoliberiste del governo che ampliano ancora di più il gap tra ricchi e poveri. Un brodo di coltura della radicalizzazione (povertà e discriminazione) che svela la mancanza di una reale strategia contro il terrorismo islamista.
Sono le autorità religiose a mandare, allora, messaggi di unità: ieri il grande imam di al-Azhar, la principale istituzione sunnita del mondo musulmano, Ahmed al-Tayyeb, ha condannato l’attacco di ieri e invitato tutti gli egiziani, cristiani e non, a partecipare alle celebrazioni del natale copto in segno di unità.
Da parte sua il governo del Cairo annuncia ulteriori misure di sicurezza in vista della festività del prossimo 7 gennaio: aumenteranno le pattuglie, i checkpoint e la presenza militare nei luoghi di culto, fa sapere il ministero della difesa in una nota.
Parla anche il presidente al-Sisi, riproponendo la retorica ormai nota fuori e dentro l’Egitto: i terroristi, ha detto, non indeboliranno «la solida unità patriottica degli egiziani». Ci pensa già il regime.
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