Sangiuliano a rapporto da Meloni. Per ora è salvo
Cronache (rosa) di governo «Ribadita la mia verità». La premier farà il possibile per evitare dimissioni scomode
Cronache (rosa) di governo «Ribadita la mia verità». La premier farà il possibile per evitare dimissioni scomode
Quando a metà pomeriggio, dopo un’ora e mezzo di colloquio con la premier, Gennaro Sangiuliano esce da palazzo Chigi è ancora ministro e non era detto. Quando era arrivato a Chigi, infilando veloce la porta posteriore, a molti le dimissioni erano sembrate a un passo. Si era diffusa persino la voce di una telefonata tra Meloni e il presidente Mattarella per discutere del caso: la smentita è arrivata subito e figurarsi se il presidente della repubblica intende impicciarsi di una vicenda da rivista rosa come questa. La previsione era comunque azzardata. Poco prima il viceministro Cirielli, un nome pesante tra i Fratelli, era uscito con una difesa appassionata: «È una vicenda fondata sul nulla, una ignobile strumentalizzazione». Segno chiaro che la premier, dopo essersi esposta la sera precedente a favore del suo ministro e liquidato l’intera faccenda come «gossip», restava attestata sulla stessa posizione.
SANGIULIANO È ANCORA ministro ma non ancora salvo. Meloni lo ha convocato, dopo che la «consulente» Maria Rosaria Boccia aveva smentito tutte le sue affermazioni, reclamando chiarezza una volta per tutte. Il ministro ha assicurato alla premier che la consulente non ha mai avuto accesso a documenti riservati. Boccia ha mostrato su Instagram un foglio con intestazione del ministero affermando il contrario esatto. Però il testo non lo ha fatto vedere. Il ministro ha garantito che non un euro è stato speso per pagare viaggi, soggiorni e a maggior ragione prebende alla signora Boccia. Lei giura di non aver mai sborsato niente nelle escursioni con il ministro, essendo tutto rimborsato. Ha anche fatto capire di poter provare con una registrazione che la famosa consulenza era stata firmata e poi stracciata, altro particolare che Sangiuliano fieramente nega. La premier pretende ora che sia messo un punto al botta e risposta e per questo è tornata a chiedere garanzie al diretto interessato.
Sangiuliano si è presentato sfoggiando l’anello nuziale che di solito tiene riposto nel cassetto e soprattutto fornito delle “pezze d’appoggio”, le fatture che confermano la sua versione e che sono puntualmente arrivate, subito dopo il faccia a faccia, alle agenzie. Il sindaco di Riva Ligure, dove ministro e consulente avevano festeggiato il di lei genetliaco, assicura di aver pagato tutto di tasca sua. Gli organizzatori del festival di Polignano a Mare «Il Libro Possibile» informano di aver sborsato loro la cifra necessaria per ospitare gli attuali duellanti.
Sangiuliano, rientrato al ministero, detta un comunicato laconico e tassativo, nel quale racconta di aver confermato a Meloni «la verità delle mie affermazioni» e già che c’è ribadisce: «Mai un euro, neanche per un caffè. Mai accesso a documenti riservati». Se non uscirà niente di concreto a smentirlo la vicenda sarà davvero chiusa, nonostante il martellamento dell’opposizione che reclama dimissioni ed esige chiarimenti in aula. Ma se invece emergerà che le cose non sono andate come il ministro sostiene, se Boccia smonterà la sua versione, per Meloni salvarlo sarà difficile, nonostante l’assurdità di una vicenda in sé davvero poco consistente, montata solo per la goffaggine di Sangiuliano.
DI CERTO LA PREMIER farà il possibile per evitare quelle dimissioni, per diverse e convergenti considerazioni. Prima di tutto costringere un ministro ad andarsene senza neppure un’ipotesi di reato, solo per la levata di scudi dell’opposizione sarebbe una prova di debolezza di quelle che in politica più si evitano e meglio è. In secondo luogo il governo presenta già una casella vacante, quella del futuro commissario europeo Fitto. Mettere alla porta Sangiuliano per una vicenda di secondaria importanza e poi tenersi Daniela Santanchè, che deve vedersela con guai ben più seri, non sarebbe possibile.
MA CON TRE POLTRONE in ballo si finirebbe nel tunnel infernale del «rimpasto», parola che a palazzo Chigi è vietato anche solo pronunciare. Infine affrontare il G7 della cultura senza il ministro competente significherebbe rischiare la figuraccia sul fronte a cui Meloni tiene di più e sul quale ha appena recuperato terreno dopo la batosta di luglio, quello della credibilità internazionale. Finché le sarà possibile, difenderà il suo ministro.
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