Sandro Zambetti, la bellezza degli sguardi differenti
Cinema Addio al critico e storico, direttore per quarant’anni di «Cineforum»
Cinema Addio al critico e storico, direttore per quarant’anni di «Cineforum»
Sandro Zambetti. Il motore trainante di Cineforum. La rivista che ha guidato per quarant’anni. Nave che ha condotto con il cuore di un capitano coraggioso e la mano salda di un nocchiero di Melville. Si potrebbe continuare così all’infinito. Nascondere nell’iperbole e nel ritratto iperbolico lo sconforto per la scomparsa di uomo che per tutta la sua vita non è stato altro che un instancabile lavoratore. Un promotore d’idee. Un operaio della cultura, e non solo della cultura cinematografica.
Cineforum è la rivista della FIC, la Federazione Italiana Cineforum che raccoglieva e organizzava le varie realtà sparse sul territorio nazionale. Ci si vedeva a Rimini, durante il festival, per discutere delle cose della federazione ma ovviamente si parlava molto anche di cinema. Sandro Zambetti un incuteva timore reverenziale a chi veniva dalla provincia e lo considerava come un maestro saggio, estremamente deciso e saldissimo nelle sue posizioni.
Certo, poi c’era il caratteraccio leggendario di Sandro. Una sorta di corazza quasi impenetrabile. Quasi. Gli exploit violenti e la cordialità affettuosa, disarmante, che si scioglieva nel suo sorriso che aveva l’odore dell’immancabile sigaro. Proprio per questo l’amicizia o anche solo un cenno d’attenzione di Sandro erano tanto importanti. Sandro non perdeva tempo. Sandro lavorava sempre. Una sorta d’imperativo etico più che un’ossessione. Utilizzare bene il proprio tempo, non fermarsi mai.
Per questo motivo Cineforum è la sua rivista. E, il grande miracolo del lavoro di Sandro, autore anche del Castoro su Francesco Rosi, e ideatore del Bergamo Film Meeting, è che la sua firma in 40 anni di direzione, compare poco all’inizio, poi si dirada sino a scomparire. Eppure Cineforum è la sua rivista.
La Cineforum di Sandro è la rivista di coloro che ci scrivevano e facevano quadrato intorno al suo enorme tavolo sempre ingombro di bozze, foto, matite, ritagli, giornali, libri, riviste. Non c’era Internet e la sua memoria era una garanzia impagabile. Si ricordava di foto intraviste su una rivista non italiana anche a distanza di molti anni. E a Cannes ci sguinzagliava per il Mif e gli uffici stampa a raccogliere tutto il materiale possibile: pressbook, fotografie, diapositive (giravano ancora), volantini.
Intorno a quel tavolo sono passate tutte le firme della critica italiana. Qualche nome senza pretesa di esaustività. Comuzio, Pellizzari, Cremonini. Poi De Marinis, Fornara, Martini, Lodato, Ferrario. Stefanoni e La Polla mancati troppo presto. Masoni, Vecchi. Mancino, Tassi. Chatrian, Michele Fadda, Francesco Pitassio.
Il collante dell’etica del lavoro di Sandro teneva saldamente insieme scuole e pensieri agli antipodi tra loro. E tutte le generazioni. Lui riusciva a metterle in comunicazione. E la rivista ne beneficiava sempre. Cineforum era la casa di Sandro. E non si trattava mai della semplice somma delle singole parti che la componevano. Nessun equilibrismo politico o di comodo. Godardianamente, anche per Sandro 1+1 non faceva mai 2 ma quasi sempre 3. Un condominio pieno di voci che prendeva vita tra le pagine della rivista. Ogni numero un colpo contro il silenzio, un colpo per la differenza. Per il cambiamento.
Basti evocare l’inserto Sperduti nel buio dedicato al cinema italiano.
Ed è proprio la tensione differenziale di Sandro il suo lascito più grande. Perché è vero che alla fine Sandro faceva sempre di testa sua ma non prima di averti ascoltato, esserti stato a sentire, magari sbuffando perché bisognava chiudere la rivista e non si poteva mica perdere tempo.
Ed è proprio Sandro che accoglie in Cineforum, una cosa mai vista, un’altra rivista, intuendone per primo tutte le potenzialità. Sentieri selvaggi, creata da Federico Chiacchiari e Demetrio Salvi, diventa un inserto di Cineforum, che mese dopo mese trovava nella rubrica Schegge di cinema, dedicata all’home video, un’ulteriore sponda interna. Sandro, nella «sua» Cineforum, aveva creato una TAZ. Una zona temporaneamente occupata. Dove sono transitati in molti. Una sorta d’interporto dove si sdoganavano le merci dell’immaginario e i materiali del reale. Una fanzine, un blog avant la lettre, cui la definizione di rivista stava già strettissima.
Sapeva anche strigliare Sandro. Ma non ti scoraggiava mai. Differenza fondamentale.
Consegnata la primissima scheda per la rivista sull’onda dell’entusiasmo perché commissionata da Sandro in persona, si scrive imitando malissimo i manierismi critici dell’epoca.Lui chiama di sabato pomeriggio. E dice che non va bene. Per niente. Poi aggiunge: «Devi scrivere come Comuzio». Probabilmente l’unico e il più vero consiglio di stile di tutti i tempi. Chiunque avrebbe chiuso la porta per sempre. A ragione. Non Sandro. E certe cose non si dimenticano.
Poi la separazione fra Cineforum e Sentieri. Storia che racconteranno altri. Alcuni partono altri restano. Eppure Sandro dopo qualche tempo richiama gli ex selvaggi. Un’altra lezione.
Se si dovesse, insomma, tentare di quantificare il contributo critico offerto da Sandro nel conflitto delle idee, non si potrebbe non riconoscergli un’altissima presenza etica e un’altrettanta articolata comprensione delle numerose forze presenti in campo. Senza mai dimenticare il suo occhio limpido nella foschia, per ricordare il volume che raccoglie gli scritti di Stefanoni, che guidava anche chi sanamente recalcitrava.
Nelle pagine di Cineforum si sono intrecciati discorsi e percorsi in modalità che oggi francamente risultano impensabili. La riscoperta del cinema italiano di genere promossa da Della Casa. Il cinema inglese e la serie B americana, in un attraversamento continuo e ricco di aperture. Allargando il campo, si poteva osservare il pensiero di Sandro all’opera. E ognuno stava in questa enorme tela che era Cineforum con la sua voce.
Era questa palestra di libertà che Sandro Zambetti ha difeso con il suo lavoro infaticabile e la sua intransigenza. Volendo tentare di individuare un possibile lascito dell’esperienza di Sandro Zambetti non potrebbe dunque essere che questa strenua difesa della dignità del lavoro e delle idee.
Una lezione enorme. Impagabile. Ciao, Sandro.
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