Siamo in un bar di Tromsø, dove quasi tutte le cose sono le cose più nord nel mondo. Il Burger King più a Nord, il supermercato più a nord e il film festival più A nord. Una serie di scrittori, registi e produttori parlano dei loro progetti. Una storia d’amore fra pastore di renne e un sociologo, un musical «Árru», documentari e The Wedding Party – A countdown to disaster, una commedia televisiva. C’è una gamma ben diversa di progetti che arrivano dai Sámi. I giganti come Netflix sono anche qui nel nord. Stolen della regista Elle Márjá Eira si gira questa primavera.

Ma chi sono i Sámi? I Sámi sono un popolo indigeno del circolo polare in un territorio che comprende pezzi di Norvegia, Svezia, Finlandia e Russia. Ci sono i Sámi pescatori, i Sámi contadini e i Sámi pastori di renne. Sono stati sottomessi da diversi governi e comunque sono sopravvissuti con la loro lingua, la cultura, e i loro sostumi.

A proposito di abiti, Anna Lajla Utsi si veste in la sua Gakti, la tunica tradizionale dei Sámi, colorata di blu, giallo e rosso. Lei è la direttrice del Sámi Film Institute e mi dice che il successo che vediamo adesso «è il risultato di tanti tanti anni di lavoro duro da noi portato avanti al Film Institute: proviamo di attirare finanziamenti, e creare anche partnerships con la tv statale norveggese Nrk, Netflix, Telefilm Canada e Canada Media Fund, Sundance European Film Academy e il festival internazionale del cinema, qui a Tromsø».

Nonostante i progressi, Anna Utsi lamenta che ci sono ancora tanti problemi. I Sámi che abitano nel sud si integrano nella comunità norvegese e perdono la loro identità. Lo stato sfrutta ancora il territorio comune dei Sámi con poco riguardo nei confronti dei loro diritti. E c’è ancora razzismo. Anna mi dice che anche a Tromsø non si sente a suo agio a camminare per le strade indossando il suo Gakti senza il timore che qualcuno la insulti. Ma il festival, l’istituto e il cinema stanno facendo loro parte. Anna – con la sua allegria e energia inarrestabile – è determinata, non importa se a capo di un gruppo di consulenti di Frozen 2 di Disney o dando consigli ai giovani registi che stanno cominciano il loro lungo percorso: «Per così tanto tempo, così tante persone hanno perso il loro legame con la loro cultura, lingua e identità. Adesso, dopo tanti anni, stanno tornando a riallacciarli».

Ole Giæver è il regista del film di apertura qui al Tromsø Festival quest’anno: Let the River Flow (Lascia scorrere il fiume). Anche se viene dal nord della Norvegia, Ole non pensavo di essere un Sámi, ma mentre faceva ricerche per il film ha scoperto che in realtà alcuni dei suoi antenati avevano radici Sámi. Ora si è iscritto ufficialmente nell’elenco di Sámi: «Il film non è iniziato con l’idea di essere un progetto personale, ma nel corso di realizzare è diventato il film più personale che abbia mai fatto».

Il film racconta una storia ambientata negli anni settanta quando il governo volevo costruire una diga in Alta, un luogo nel terreno tradizionale dei Sámi. A leggere oggi la lotta contro quel lavoro si capisce che erano gli ambientalisti ad aver combattuto contro il governo e il ruolo di Sámi appare solo nelle note in piccolo. Il film segue Ester, una giovane insegnante che nasconde la sua identità per meglio per convivere con i norvegesi e integrarsi nella società. Anche quando vede un allievo maltrattato perché è Sámi lei non interviene. Piano piano però comincia a prendere coscienza con la lotta contro la diga che diventa un’occasione per capire la sua vera appartenenza. L’attrice che interpreta Ester si chiama Ella Marie Hætta Isaksen. Artista, cantante e attivista, lei adesso ha debuttato in questo film come attrice, ma non è stato facile: «Ester, ci dice, è nata negli anni cinquanta, allora era ovviamente più condizionata dall’oppressione del popolo Sámi di quanto lo sia stata io che sono nata nel 1998. Io sono fortemente e attivamente fiera di chi sono e della mia cultura e del mio ambiente. Ho lottato da sempre contro il senso di vergogna che ci è stato lanciato contro».

Il potere del cinema fa la sua parte. Anna Lajla Uts ricorda benissimo il film Pathfinder (L’arciere di ghiaccio) di Nils Gaupin del 1987, candidato agli Oscar, dove un giovane Sámi assiste all’uccisione della sua famiglia da parte di una banda di predoni: «Avevo quattordici anni, e ero là seduta a fianco di mia cugina e per la prima volta abbiamo visto noi stessi in un film. Stavano parlando la nostra lingua ed erano belli. Era un momento che ha cambiato la mia vita, tutte le nostre vite. Quando sono tornata a casa ho detto a mio padre: io voglio fare i film».

L’istituto è stato fondato nel 2009 con il finanziamento del ministero della cultura norvegese. All’inizio lo scopo era di addestrare e istruire attori, scrittori, registi e tecnici e stabilire le infrastrutture di base. Ma subito sono iniziate produzioni come 7 Sámi Stories nel 2015 e i primi lungometraggi come Sámi Blood (2014).

Appartenendo a diversi paesi come si vede dalla carta geografica i Sámi sono un popolo transnazionale. Ma questo non dev’essere visto come un punto di debolezza e divisione. Al contrario, Anna incoraggia l’uso di una filosofia e modo di pensare «senza confini» con stretti legami con altri popoli indigeni, altri movimenti del cinema con legami con i popoli di Canada, istituzioni di Sundance e di Berlino.

Nel 2018, per aiutare a creare e rinforzare il legame fra i diversi popoli, è stato stabilito il Fondo indigeno Artico. Liisa Holmberg è il capo del fondo e insieme ad Anna fa parte di una squadra fortissima: «Noi proviamo a dare fondi ai filmmaker e mettere a disposizionecommissioni e creare una collaborazione fra diversi gruppi. Così si stabiliscono coproduzione fra Groenlandia e Canada, Norvegia e Svezia e così via». In questa maniera, la ricchezza delle diverse culture e la diversità stessa diventano punti di forza.
Lo scopo a lungo termine della commissione e dell’istituto è creare «autonomia narrativa» che secondo Anna significa una libertà creativa da ll’istituzione norvegese o di altri enti nazionali, così chei Sámi possano scegliere le loro storie senza ricevere il permesso dagli altri. Anna mi dice: «Perché non possiamo scegliere noi quali storie possiamo e vogliamo raccontare?»

Ma per sostenere visibilità internazionale e il sostegno dei diversi fonti di finanziamento sarà necessario parlare a un pubblico internazionale e non solo a un pubblico regionale o norvegese. È una domanda di equilibrio. Ella Isaksen mi dice: «Nella mia musica come cantante e nel libro che ho scritto, in certi punti, mi vedo davanti solo a un pubblico norvegese. Il pericolo non è solo di parlare a un pubblico internazionale, ma anche di ricordare di parlare in particolare anche al nostro popolo, i Sámi».
Le coproduzione internazionale e il film di Netflix è un gran passo avanti ma la sfida adesso sarà di mantenere l’identità di una comunità in una fase di rinascita.