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Samara e Kazan, bagliori della cultura russa

Samara e Kazan, bagliori della cultura russaCremlino di Kazan, fotografia di Giampiero Assumma

Reportage Due città di importanza storica, ancora lontane dagli itinerari turistici

Pubblicato più di 4 anni faEdizione del 14 marzo 2020

Ci sono due grandi città sul Volga a oriente della Russia – Samara e Kazan – che hanno legato la propria storia a straordinarie vicende della Seconda guerra mondiale sconosciute in Italia.

Samara si trova a solo un ora e mezzo di volo da Mosca e non è ancora stata scoperta dai turisti stranieri malgrado qui non più tardi di un anno e mezzo fa si tenne uno dei gironi del campionati mondiali di calcio. Samara ha conosciuto tutti gli andirivieni della storia russa. Qui fecero tappa i due grandi condottieri rivoluzionari Pugacev e Stenka Razin. E qui furono confinati i nazionalisti polacchi e i prigionieri francesi dopo la sconfitta di Napoleone alle porte di Mosca. «Siamo una città multinazionale» dice orgoglioso il taxista che ci accompagna fino all’hotel. Porto fluviale per eccellenza per collegare principalmente la Germania ai mercati dell’Asia centrale sin dal XVIII secolo, l’architettura urbana di Samara risente di tutti questi influssi: in centro si possono ammirare in sequenza, tracce di liberty e di architettura neoclassica, chiese cattoliche accanto a minareti.

Samara fu un centro decisivo per la vittoria nella guerra civile dei rossi al di qua degli Urali, in cui un ruolo di spicco lo ebbe Valerian Kuybishev, bolscevico della prima ora, uomo di cultura raffinata con il solo vizietto del bicchiere, a cui venne intitolata la città nel 1935 dopo la sua prematura morte. Malgrado poi con il crollo dell’Urss la città sia tornata a chiamarsi Samara, nella piazza centrale – la più grande d’Europa con i suoi 17,4 ettari di area – davanti al maestoso teatro di opera e balletto fa bella figura di sé ancora la statua di Kuybshev.

Ma è proprio al margine della piazza, in una piccola via circondata da case popolari che si trova la perla storica della città: il bunker di Stalin.
Dietro a una insignificante porticina di ferro color porpora che potrebbe ospitare benissimo cassonetti della spazzatura si nasconde uno dei più straordinari progetti architettonici e tecnologici pensanti durante il conflitto mondiale.

Il progetto di costruire il bunker a Kuybeshev fu approvato dal Soviet Supremo nel 1941 quando i tedeschi erano a poche decine di chilometri da Mosca e si iniziavano a definire i piani di una eventuale evacuazione della capitale. In questo contesto venne pensato di spostare l’interno comando militare e governo sovietico a Kyubishev centro a solo 1000 chilometri da Mosca con buoni collegamenti per i trasporti e un’efficiente industria pesante. Il bunker per ospitare eventualmente Stalin venne effettivamente costruito (a differenza di tanti altri progetti simili di quel periodo che restarono lettera morta) ma della sua esistenza i servizi segreti russi decisero di darne notizia solo nel 1990.
Rimandandovi alla lettura della scheda in queste pagine sulle sue caratteristiche del bunker ci spostiamo in auto verso Kazan 350 chilometri più a occidente in direzione di Mosca.

Questo inverno della Russia verrà ricordato come il più tiepido da molti decenni anche se come sostiene Darjia, un’amica moscovita, Puskin nell’Evengenij Onegin segnala come «L’autunno non voleva Finir mai, quell’anno: a lungo /La campagna dové attendere /L’arrivo dell’inverno. /Solo il tre gennaio cadde, Di notte, la prima neve».

Il sole si irradia dai finestrini dell’auto e il Volga, maestoso, brilla sereno. Attraversiamo la provincia di Uljanovsk, forse una delle più povere di tutta la Russia. Nel piccolo caffè in cui ci fermiamo, le zollette di zucchero del caffè si pagano a parte. Ci sono tante catapecchie abbandonate in questa zona: da tempo le nuove generazioni preferiscono spostarsi nelle grandi città e non proseguire l’attività di contadini dei padri e e dei nonni. I proprietari dei grandi appezzamenti del resto assumono braccianti solo stagionalmente a 70-100 euro al mese, un salario con cui è difficile vivere persino da queste parti. «Sembra di essere tornati ai contadini poveri di leniniana memoria…», dice l’amico Luciano Beolchi che assieme a chi scrive e al fotografo Giampiero Assumma, forma il terzetto di questa zingarata in giro per la Russia.

La splendida Kazan
E poi ecco Kazan’, capitale della Repubblica autonoma del Tatarstan, ancora più splendida di come ce la immaginavamo. Sottosuolo ricco di petrolio, si presenta subito con periferie ordinate e pulite. I vecchi caseggiati sovietici dalle facciate scrostate sono stati sostituiti da palazzi nuovi e il traffico scivola tranquillo sui vialoni. Zigomi altissimi e prevalenza di capelli e occhi scuri della popolazione indigena ci ricordano l’origine protobulgara ma anche la lunga permanenza dell’Orda d’Oro da queste parti, mentre la popolazione resta ancora oggi a maggioranza musulmana. Città mossa, dalle discese ardite, è in tutto per tutto moderna senza essere occidentale: moltissimi i giovani che affollano le locali facoltà universitarie che confinano con quartieri musulmani con vie strette dove a ristoranti marocchini fanno seguito lavanderie con insegne arabe in cui pare di stare in certe zone dell’East London.

Un altro Cremlino
Davanti alla facoltà di giurisprudenza una sobria statua di un giovanissimo Lenin con una folta zazzera e l’immancabile il libro in mano (e indicato semplicemente come Vladimir Uljanov) ci ricorda che il rivoluzionario russo studiò in questo imponente edificio bianco.

Il grande polo di attrazione per chiunque capiti a Kazan resta il meraviglioso Cremlino. Costruito nel XVI secolo, improvvidamente il potere sovietico nel 1930 decise la distruzione del campanile della Cattedrale dell’Annunciazione che si trovava all’interno delle sue mura. Oggi il Cremlino di Kazan è dominato dall’imponente Moschea Qol-Särif, bianca e turchese, finita di costruire nel 2005 costata 11 anni di lavoro e 400 milioni di dollari, mentre più in là, all’ingresso, dà bella prova di sé un grande monumento di epoca socialista simboleggiante un Prometeo che spezza con muscoli protesi, del filo spinato. Prima di partire scopriamo, vergognandocene un po’, che non si tratta di un simbolo ma di uno dei più grandi e personaggi in carne ed ossa nato e vissuto da queste parti.

Il grande poeta
Si tratta di Musa Cälil, uno dei più grandi poeti tatari ed eroe della resistenza sovietica al nazismo. Quando poi la signora che vende souvenir all’ingresso del Cremlino ce ne racconterà la tragica vicenda, Cälil ce lo riporteremo nel volo di ritorno a Mosca nel cuore, come la scoperta di più bella di questo viaggio. Anzi prima di partire troviamo il tempo per visitare la sua casa-museo composta di due stanze in condivisione e modestamente arredata, in cui visse a Kazan negli anni ’30. Due spogli vani quelli in cui viveva Musa Cälil che ci indicano come fossero in fondo limitati i privilegi degli strati superiori della società sovietica.

Bunker di Stalin
Il cosiddetto Bunker di Stalin, avrebbe dovuto essere nel caso di occupazione di Mosca da parte dei nazisti, la sede dove avrebbero operato i generali, i ministri del governo sovietico e lo stesso Stalin. Il bunker ha una profondità di 37 metri ed è dotato di ascensore e scala interna. Il sistema di aerazione e condizionamento fu realizzato sulla base di quello della fermata  della metropolitana di Mosca Aeroport solo scavato verticalmente invece che orizzontalmente. Dietro la porta si trova la piattaforma superiore, da cui inizia la discesa nel bunker possibile sia con l’ascensore sia per mezzo delle scale. Più in basso un pozzo di 14 metri è collegato ad un lungo corridoio-pavimento trasversale, dove sono concentrate le unità di supporto vitale e i meccanismi ausiliari del bunker. Molti ingeneri che lo hanno visitato dopo che ne è stata resa nota l’esistenza nel 1990, lo hanno definito un’opera di assoluto valore anche per i nostri giorni.

Alla costruzione del bunker di Kuibyshev, che fu costruito a tempo di record da febbraio a ottobre 1942 dai costruttori di metropolitana di Mosca, parteciparono 2900 lavoratori e circa 800 operai, tecnici e ingegneri.  Gli uffici e i locali di riposo si sviluppano lungo 7 piani in profondità. All’ultimo piano si trova l’ampio salone in cui avrebbero dovuto tenersi le riunioni del governo sulle cui pareti oltre a una gigantesca carta dell’Urss troneggiano gli sguardi severi dei ritratti di Marx-Engels-Lenin, una toilette e il piccolo ufficio che avrebbe dovuto ospitare il leader comunista composto da una piccola scrivania rivestita di panno verde, su cui è poggiato un telefono, e da un divano in pelle.

Musa Cälil
Musa Cälil uno dei più grandi poeti tatari e eroi dell’Unione sovietica, nacque a Mustafino nel governatorato di Orenburg nel 1906. Nel 1919, aderì al Komsomol (l’organizzazione giovanile comunista sovietica) e continuò i suoi studi presso l’Istituto tataro di educazione pubblica a Orenburg. Combatté dell’Armata rossa nella guerra civile e visse per qualche tempo nella stessa stanza con Varlam Shalamov l’indimenticabile autore dei Racconti della Kolyma che lo descrive nel breve racconto Lo Studente Musa Cälil.  Nel 1939-1941 fu segretario esecutivo dell’Unione degli scrittori della Repubblica socialista sovietica autonoma tatara, lavorando come dirigente dell’ufficio letterario del Teatro dell’Opera tataro. Arruolato nell’Armata Rossa operò sui fronti di Leningrado e Volkhov come corrispondente per il quotidiano Coraggio. Ferito e catturato dai tedeschi nel giugno 1942 fu arruolato nella legione Idel-Ural (Wolgatatarische Legion) formata da ex prigionieri sovietici che combattevano a fianco dei nazisti.

Qui Musa Cälil si unì a un gruppo clandestino creato tra i legionari e aiutò la fuga di molti di loro verso le fila  sovietiche. Approfittando del fatto che gli fu ordinato di svolgere attività culturali ed educative, Cälil, si spostava spesso nei campi di prigionia tedeschi, coordinando gruppi cospirativi. Con il pretesto di selezionare artisti dilettanti per la cappella del coro della Legione, reclutò nuovi membri all’organizzazione clandestina chiamata Comitato di Berlino del PCUS bolscevico.

Grazie ai suoi sforzi e a quelli dei suoi compagni, il primo 825° battaglione della Legione Idel-Ural, inviato a Vitebsk, si rivoltò contro i nazisti il 21 febbraio 1943 e una parte di essi si unì ai partigiani bielorussi mentre altri riuscirono a raggiungere i reparti  dell’Armata Rossa.

Nell’agosto del 1943, la Gestapo scoprì l’attività cospirativa di Musa Cälil e lo arrestò assieme alla maggior parte dei membri del suo gruppo. Fu rinchiuso nella prigione di Plötzensee vicino a Berlino dove furono reclusi e spessi uccisi molti dei più famosi membri della resistenza antifascista europea. Continuò a scrivere versi anche in prigione. 125 poesie di questa ultima parte della sua esistenza furono fortunosamente rinvenute e raccolte successivamente in volume con il titolo I quaderni di Moabite. I quaderni integralmente scritti in tataro sono diventati un classico della letteratura non solo sovietica ma anche della sua terra natale. Nel 2013 i quaderni sono stati inclusi dal ministero della cultura russa tra le cento opere più importanti da leggere nell’autoformazione.

I suoi undici compagni di lotta tatari furono fucilati ma a lui i nazisti riservarono l’esecuzione con ghigliottina per  il suo tradimento e i pesanti danni arrecati all’azione bellica nazista, il 25 agosto 1944.

Nel 1946, il Ministero della sicurezza dello stato dell’URSS aprì un procedimento contro di lui e lo accusò di tradimento e di connivenza con il nemico. Purtroppo non si trattò certo di un caso isolato. durante la tragedia dello stalinismo. Molti ex-prigionieri sovietici dovettero subire spesso l’onta dell’emarginazione sociale se non il Gulag o la fucilazione solo per essere stati fatti prigionieri e come Cälil aver fatto parte, suo malgrado, di un esercito collaborazionista.

Nel 1946, l’ex prigioniero di guerra Nigmat Teregulov portò alla sede Unione degli scrittori del Tatarstan un quaderno con sei dozzine di poesie di Cälil. Un anno dopo, un secondo taccuino venne consegnato al consolato sovietico a Bruxelles da Andre Timmermans, un membro della Resistenza belga che lo aveva ricevuto in prigione direttamente dal poeta tataro.

Nel gennaio del 1946, infine, un cittadino tartaro turco, Kazim Mirshan, consegnò un altro quaderno all’ambasciata sovietica a Roma. L’insieme di questi quaderni e appunti dimostrava ampiamente che Cälil non aveva mai tradito l’Urss e anzi in lui era rimasta ardente, anche in attesa dell’esecuzione, la fiamma della ribellione e della speranza.

Ma fu solo con la morte di Stalin e il disgelo khrusceviano che l’accusa di collaborazionismo decadde e Musa Cälil venne pienamente riabilitato, ricevendo postumo nel 1956 il titolo di Eroe dell’Urss e l’Ordine di Lenin.

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