Samantha Walton e la biofilia curativa
Poste a fondamento di immaginarie cosmogonie, le relazioni che intrecciamo con la natura permeano lingue, convinzioni, fedi, e, a partire dalle molte loro tracce in miti e leggende, è evidente anche l’idea diffusa che la natura abbia virtù curative per la mente e per lo spirito. L’ipotesi di un amore innato che a essa ci lega, di un irrefrenabile impulso a entrare in connessione – l’ipotesi della biofilia dell’americano Edward O. Wilson – ha trovato nel tempo una serie di conferme nell’analisi della capacità dei luoghi naturali di attenuare lo stress, ripristinare l’attenzione, migliorare l’umore.
Con l’indicazione che anche l’apprezzamento di natura e paesaggio cambiano nel tempo e con il bagaglio di docente di «letteratura della crisi climatica» specializzata nel legame tra natura e salute mentale, Samantha Walton ci conduce alla volta di una serie di Luoghi per guarire (sottotitolo, Il potere curativo della natura, Ponte alle Grazie. pp. 368, € 20, 00).
Paesaggi terapeutici, come giardini, parchi – a lungo intesi come macchine per il benessere –, ma anche foreste, montagne, e perfino ambienti naturali virtuali, ricreati artificialmente a uso medico e nell’industria del benessere. Con un taglio critico, si evidenzia come spesso una costruzione estetizzata della natura – che ad esempio si incarna nel parco paesaggistico, a lungo modello dominante – abbia un forte, negativo impatto ecologico. Mentre, nella convinzione dell’inscindibilità della salute di natura, individuo e società, una vera ricerca del ripristino dell’equilibro comporti, oltre la bellezza, un potenziale radicale. Che se da un lato i benefici psichici dell’accesso alla natura sembrano perlopiù riservati, in una sorta di gentrificazione ecologica, a chi può permetterseli, indiscriminato appare di fronte al disastro della catastrofe ambientale il senso di prostrazione, «eco-ansia», inadeguatezza e muta disperazione.
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