Saman e le altre, la nuova versione del delitto d’onore
Femminicidi Quante Saman, Hina, Sana dovranno morire affinché si squarci quel velo di ipocrisia che condanna donne come noi a vivere e morire in base a culture arcaiche riproposte nel nostro paese e tollerate da un relativismo culturale che non combatte interpretazioni integraliste delle religioni e culture tribali per il timore di infrangere codici di comportamenti falsamente considerati «politicamente corretti»
Femminicidi Quante Saman, Hina, Sana dovranno morire affinché si squarci quel velo di ipocrisia che condanna donne come noi a vivere e morire in base a culture arcaiche riproposte nel nostro paese e tollerate da un relativismo culturale che non combatte interpretazioni integraliste delle religioni e culture tribali per il timore di infrangere codici di comportamenti falsamente considerati «politicamente corretti»
Quale Saman Abbas è stata uccisa? Quella giovane ragazza solare e piena di vita di cui solo diversi giorni dopo la scomparsa sono cominciate a circolare le foto o quella triste e sottomessa con il velo nero?
Sono due immagini quasi incomparabili e incompatibili ma sono l’esplicitazione concreta di come si possa annullare l’identità di una donna imponendo l’uso del velo e tutte le costrizioni religiose e tradizionali correlate. A Saman era stato impedito persino di studiare, come qualsiasi altra scelta di vita, infatti nella sua famiglia ha trovato la morte.
A trarre in inganno Saman sarebbe stato un Sms inviato della madre quando si trovava ancora in comunità: «Ti prego fatti sentire, torna a casa. Stiamo morendo. Torna, faremo come ci dirai tu». Una trappola mortale, agghiacciante! Quale madre può arrivare a tanto? Solo una donna succube del marito, dei maschi di famiglia come vuole il modello patriarcale che ha ucciso Saman può farlo.
Una morte annunciata, se la ragazza aveva detto al suo fidanzato che la volevano uccidere. Aveva sentito la madre che ne parlava, ma è come se lei, una ragazza ribelle e piena di vita invece di tentare la fuga fosse precipitata in quella trappola tanto da rassegnarsi a una morte crudele, che forse proprio solo il tradimento della madre può avere indotto. A Saman era rimasta solo la scelta tra il velo e il matrimonio forzato o la morte.
Quale società può permettere di commettere un femminicidio senza intervenire? Saman, purtroppo non è la prima. Ma quante Saman, Hina, Sana dovranno morire affinché si squarci quel velo di ipocrisia che condanna donne come noi a vivere e morire in base a culture arcaiche riproposte nel nostro paese e tollerate da un relativismo culturale che non combatte interpretazioni integraliste delle religioni e culture tribali per il timore di infrangere codici di comportamenti falsamente considerati «politicamente corretti».
Saman Abbas è stata uccisa. Ormai poco importa come.
La sua morte è un femminicidio, la nuova versione del delitto d’onore. Quale onore per una famiglia che uccide una figlia perché pretende la propria libertà che solo una società arcaica e patriarcale può ancora negare? Non stiamo parlando di Medioevo e di uno villaggio isolato dal mondo, ma dell’Italia del XXI secolo, dove non si riesce a far approvare una legge sullo ius soli che non risolverebbe tutti i problemi ma darebbe maggiori garanzie alle seconde generazioni di migranti. Parliamo dell’Italia dove non esiste un progetto di integrazione basato su diritti e doveri per chi viene a vivere nel nostro paese, un progetto interculturale che non annulli le diversità ma arricchisca il meticciato, dove i diritti universali vengano esaltati e non sacrificati in nome di una cultura altra.
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