Salvini sgambetta il premier. E chiede un reset del governo
La corsa Il leghista pretende il Viminale. Pd diviso sul futuro di SuperMario. Gelo tra dem e M5S
La corsa Il leghista pretende il Viminale. Pd diviso sul futuro di SuperMario. Gelo tra dem e M5S
Nel giorno della prima votazione per il Quirinale Mario Draghi è sceso ufficialmente in campo: ha visto Matteo Salvini, ha sentito Enrico Letta e Giuseppe Conte. Un attivismo visto con soddisfazione da chi fa il tifo per il suo trasloco al Colle, ma anche la presa d’atto che da soli i voti di un parlamento riottoso e balcanizzato non sarebbero arrivati. E che dunque anche SuperMario è costretto a «sporcarsi le mani» nella trattativa.
I TONI DEL PREMIER nei vari colloqui sono felpati: chiede opinioni franche su come egli possa servire al meglio le istituzioni. Il nodo però resta sempre quello da giorni: il governo che dovrebbe succedere all’attuale. Un nodo intricatissimo. Draghi ne ha parlato faccia a faccia con Salvini, ma non c’è accordo neppure sullo schema. Il leghista vorrebbe un reset della squadra, il premier invece pensa di limitarsi a piccoli ritocchi, il minimo indispensabile.
Salvini vuole rimettere le mani sul Viminale, col fedelissimo Nicola Molteni, o in subordine col suo ex capo di gabinetto, ora prefetto di Roma, Matteo Piantedosi. Il premier non può e non vuole spingersi a questo livello di dettaglio della futura di squadra, «Non compete a questa fase», il messaggio che filtra da palazzo Chigi. Nebbia fitta anche sul nome del futuro premier, che non sarebbe stato neppure evocato nell’incontro. Salvini, secondo fonti qualificate, avrebbe detto no a un tecnico, ben sapendo che difficilmente un esponete di Lega, M5S o Pd potrebbe reggere una simile maggioranza.
DI FATTO PERÒ, SE IL GOVERNO si farà, l’ipotesi più probabile resta un nome fuori dai partiti. E quello più alto in quota è Elisabetta Belloni, una vita alla Farnesina, attuale capo del Dis, i servizi segreti, su nomina dello stesso Draghi. Il Pd pressa il M5S per un via libera all’attuale premier per il Quirinale e per la promozione a palazzo Chigi di Belloni. Uno schema che permetterebbe anche a Conte di uscire a testa alta dalla partita.
Ma l’accordo non si trova, da fonti leghiste l’incontro con Draghi viene descritto come «andato male», ricostruzione che non convince gli ambienti più vicini al premier. Che dopo Salvini sente anche Letta e Conte, un modo per mostrare plasticamente che la sua candidatura è ormai sul tavolo, e che una bocciatura, o l’elezione di un presidente che spacchi la maggioranza, avrebbe conseguenze immediate sulla tenuta del governo, come lui stesso ha detto nella conferenza stampa di Natale.
UN MESSAGGIO CHIARO ai tanti che, dalla Lega a Forza Italia al M5S lo invitano a restare a palazzo Chigi. Il concetto è quello che Draghi aveva già fatto filtrtare: non resto con qualunque presidente della repubblica. La mossa di Salvini sul nuovo governo si presta a due letture: la prima è che voglia alzare la posta nella trattativa sul nuovo governo, la seconda che stia cercando di affossare davvero la corsa di Draghi.
A TARDA SERA ALLA SEDE Pd del Nazareno tira una brutta aria: il «lungo e cordiale» incontro con Salvini (come da nota congiunta) aveva al centro l’apertura di un «dialogo» su un nome super partes, per evitare la guerra in aula. Ma il leghista ha detto no a Letta anche sul nome di Giuliano Amato e in serata è tornato alla vecchia proposta di una rosa di centrodestra. Ipotesi che Letta ha già bocciato pubblicamente al grido di «la destra non ha diritto di prelazione».
E tuttavia i dem non demordono, in vista del nuovo summit Letta-Salvini previsto per oggi: «Ci sono margini di trattativa, si è aperto un canale di dialogo», il mantra che viene ripetuto. Non c’è solo l’impuntatura del leghista a preoccupare i piddini. Ma anche l’alleato grillino. I contatti restano costanti, ma le ripetute aperture di Conte a nomi di centrodestra hanno fatto aumentare i dubbi sulla tenuta dell’alleanza alla prova del voto.
SENZA CONTARE LE DIVISIONI interne al Pd, con il partito anti-Draghi che sta muovendo le sue pedine. L’ex capogruppo Andrea Marcucci e il senatore Dario Stefano (ex renziani) si spendono pubblicamente a favore di Casini al Colle: «Il suo è un nome che può unire». Ma da Base riformista, la corrente di Guerini, viene spiegato che sono opinioni «a titolo personale» e che non c’è «alcuna preclusione su Draghi». Anche Dario Franceschini ormai lavora apertamente contro il trasloco del premier e così parti della sinistra interna.
Per Letta dal voto sul Quirinale può arrivare una tripla botta: un presidente della repubblica non gradito, l’implosione del Pd e la fine dell’alleanza giallorossa con il M5S se Conte alla fine dovesse votare un nome di centrodestra come Franco Frattini. Uno scenario da incubo. Tanto che Letta a ora di cena riunisce alla Camera i tre ministri dem e capicorrente (Guerini, Franceschini e Orlando) per tentare di serrare le fila.
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