Reduce dalla cena con gli agricoltori in Abruzzo, Matteo Salvini monta su un metaforico trattore e convoca a Roma lo stato maggiore della Lega. Riunione a porte blindate, conclusa da un laconico comunicato che consegna il senso della disposizione impartita dal capo: «Massimo impegno a sostegno degli agricoltori e intervenire ancora più efficacemente sull’Irpef».

La cancellazione dell’esenzione dall’Irpef «è stata un errore», parola del capogruppo Molinari, l’esenzione fino a 10mila euro non basta e comunque bisogna impedire che gli agricoltori si riconoscano nel partito tricolore più che nella Lega. Sullo sfondo la polemica a tratti astiosa con il ministro dell’Agricoltura Lollobrigida, accusato di essere molto più attento alle esigenze di Coldiretti che a quelle degli agricoltori. Il ministro, colpito anche da una mozione di sfiducia di Renzi, replica muso duro: «La norma sull’Irpef la ha fatta il Mef col ministro della Lega» e comunque «i soldi non si stampano col monopoli».

NEL POMERIGGIO SALVINI, da Potenza, stempera: «L’esenzione fino a 10mila euro è un punto di partenza ma sono convinto che si possa fare di più e aumentare la detassazione dell’Irpef agricola». Nessuna polemica col governo però, per carità: «Sta facendo bene e può fare anche meglio ma il disastro è l’Europa che fa politiche folli, suicide, miopi che avvantaggiano poche multinazionali e pochi Paesi».

È un segnale di pace rivolto a Giorgia Meloni – che peraltro è ben decisa a far quadrato intorno al cognato sotto tiro e a non andare oltre il tetto di 10mila euro – ma fino a un certo punto. Quando il vicepremier leghista spara sull’Europa, oggi come oggi, nel mirino c’è anche Giorgia l’Europeista. E non è né la prima né la più fragorosa bordata di questo tipo. Ventiquattro ore prima il vice di Salvini, Crippa, aveva sparato ad alzo zero contro Ursula von der Leyen, e poco male se si tratta dell’alleata numero uno di Meloni in Europa: «Votare Ursula von der Leyen è impensabile. Dobbiamo costruire il centrodestra europeo senza di lei». Capita che invece la leader tricolore abbia già deciso di votare per la riconferma dell’amica senza guardare a chi altro la sosterrà, insomma anche con il Pse.

NON È TUTTO. Resta quel nodo del terzo mandato per i presidenti di Regione, formula diplomatica con la quale s’intende la decisione della vorace premier di prendersi il Veneto strappando alla Lega la roccaforte storica. Col terzo mandato e Luca Zaia ricandidabile la missione sarebbe impossibile, senza Zaia di mezzo quasi una passeggiata. Salvini, sin qui sempre respinto con perdite su quel fronte, tenta la carta del ricatto. Avrebbe minacciato di correre da solo alle prossime provinciali, nelle quali voteranno i sindaci e i consiglieri comunali di ciascuna provincia. Anche a prenderla sul serio, non è una minaccia che possa spingere la premier a ripensarci sul terzo mandato: la presa del Veneto, di fatto l’occupazione tricolore del nord leghista, resta uno degli obiettivi principali, se non il primo in assoluto, nelle regionali del prossimo anno.

LE RUMOROSE SGROPPATE del capo leghista danno l’impressione di una Lega all’offensiva, riottosa e aggressiva pur se solo a parole. Salvini appare come un leader pronto a tutto pur di strappare voti alle prossime elezioni europee. In parte è davvero così ma in parte maggiore si tratta invece di un effetto ottico fuorviante. La Lega non attacca, cerca di difendersi, o meglio ci prova ma senza successo. All’offensiva, e senza risparmiare mazzate feroci, è la presidente del consiglio, decisa a non concedere all’alleato alcuno spazio.

L’assedio del Veneto è eloquente ma lo è altrettanto l’alleanza con Reconquete, il gruppo francese di estrema destra, per non parlare del tentativo di portare nel gruppo dei Conservatori la stessa Marine Le Pen, lasciando la Lega sola con l’AfD tedesca, cioè con il partito più paria che ci sia in Europa. Tanto da destare dubbi in quantità industriale sull’alleanza nella stessa Marine Le Pen, consapevole di non poter ambire alla presidenza della Francia con un alleato europeo così scomodo.

SOTTO ATTACCO e sotto assedio stringente, e anche senza possibilità di svincolarsi in mancanza di un’alternativa politica realistica, non c’è il governo minacciato dall’infido Salvini. C’è una Lega sempre più alle corde.