Salviamo le api «impallinate» dai pesticidi
Wwf Si conclude oggi la campagna Bee safe, una mobilitazione lanciata dal Wwf nell’ambito di una consultazione della Commissione Europea per chiedere politiche che vietino i pesticidi più pericolosi, sostengano l’agricoltura […]
Wwf Si conclude oggi la campagna Bee safe, una mobilitazione lanciata dal Wwf nell’ambito di una consultazione della Commissione Europea per chiedere politiche che vietino i pesticidi più pericolosi, sostengano l’agricoltura […]
Si conclude oggi la campagna Bee safe, una mobilitazione lanciata dal Wwf nell’ambito di una consultazione della Commissione Europea per chiedere politiche che vietino i pesticidi più pericolosi, sostengano l’agricoltura biologica e sistemi di coltivazione che tutelino le api e gli altri impollinatori. Un’azione che si inserisce nella campagna «Cambia la Terra», promossa da Federbio per l’aumento della superficie agricola condotta con pratiche agricole ecologiche (www.cambialaterra.it).
La diminuzione delle api registrata negli ultimi anni rappresenta un problema, tanto grande quanto poco conosciuto all’opinione pubblica.
Le cause sono da ricercarsi in primo luogo nell’utilizzo di pesticidi, in particolare gli insetticidi neonicotinoidi condannati senza appello da una recente valutazione dell’Efsa, l’Agenzia Europea per la Sicurezza Alimentare.
Ma sotto accusa sono anche i cambiamenti climatici, considerati ormai la seconda causa di diminuzione delle api. Come evidenziato dal Centro Ricerche di Bioclimatologia dell’Università di Milano, la minore durata della stagione invernale, con temperature medie sempre più alte e picchi decisamente anomali, ha probabilmente allungato la finestra di attività delle api (fino a 20/30 giorni di lavoro in più l’anno) con uno stress aggiuntivo che finisce per comprometterne la vita. Lo stesso sincronismo tra fioritura e ripresa delle attività di volo dopo l’inverno potrebbe aver subito sfasature. Un segnale concreto arriva dalla produzione di miele: secondo i dati forniti dagli apicoltori italiani dell’Unaapi, la produzione di miele è diminuita dell’80% a causa della siccità del 2017.
L’impollinazione è uno dei servizi ecosistemici più importanti forniti dalla natura sia per il benessere umano che per l’economia, come sostiene anche il secondo Rapporto sul Capitale Naturale in Italia (presentato a febbraio 2018). Quasi il 90% di tutte le piante selvatiche con fiore dipendono in vasta misura dall’impollinazione animale, mentre delle circa 1.400 piante che nel mondo producono cibo e prodotti dell’industria, quasi l’80% richiede l’impollinazione da parte di animali: non solo api, ma anche vespe, farfalle, falene, coleotteri, uccelli, pipistrelli e altri vertebrati.
Le sole api selvatiche, un vero e proprio esercito composto da oltre 20.000 specie, garantiscono l’impollinazione dei fiori da cui dipende il 35% della produzione agricola mondiale. Delle 100 colture da cui dipende il 90% della produzione globale di cibo, 71 sono legate al lavoro di impollinazione delle api. Del resto, senza impollinatori non avremmo più il piacere di gustare caffè, cioccolata, mele e molti altri cibi che fanno parte della nostra vita quotidiana: il cioccolato, ad esempio, deriva dai semi dell’albero del cacao, e il valore mondiale annuo della raccolta dei suoi baccelli è di 5,7 bilioni di dollari Usa, una cifra da capogiro che dipende dall’intervento di un piccolissimo Dittero, essenziale per l’impollinazione dei fiori.
L’Unione Europea, con la sua Politica Agricola Comune, ha quindi ottime ragioni per prendersi cura delle api e degli altri insetti impollinatori, superando progressivamente, ma con forza, le vecchie impostazioni che purtroppo, ancora oggi, fanno sì che siano assegnati più contributi a chi utilizza pesticidi rispetto a chi pratica l’agricoltura biologica, unica pratica agricola veramente sostenibile per gli impollinatori (e anche per i consumatori!).
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