Il mare profondo, al di sotto dei 200 metri di profondità, rappresenta il più grande bioma del nostro pianeta, coprendo più del 65% della superficie terrestre e ospitando il 95% della biosfera globale. Circa il 78% del bacino mediterraneo si trova in acque più profonde di 200 metri che ospitano una ricca e unica biodiversità dovuta alla grande eterogeneità degli habitat: montagne e canyon sottomarini, vulcani di fango, bocche idrotermali, giardini di spugne, praterie di gorgonie. Un mosaico di ecosistemi che offre rifugio a circa 3.000 specie e che influenza il funzionamento del mare offrendo numerosi servizi ecosistemici all’umanità.

«QUESTI HABITAT – HA DICHIARATO Domitilla Senni di MedReAct – sono caratterizzati da tassi di crescita lenti e maturazione tardiva; sono quindi particolarmente vulnerabili all’impatto delle attività umane e dei cambiamenti climatici. Anche minimi cambiamenti possono provocare alterazioni significative, con conseguente perdita di biodiversità e di altre importanti funzioni come, ad esempio, il ruolo che svolgono nell’intrappolare l’anidride carbonica». Considerato inoltre che il Mediterraneo è stato proposto come un oceano in miniatura che può essere utilizzato come modello per anticipare la risposta degli oceani globali a vari tipi di pressioni umane ed è anche una delle aree in cui diversi aspetti del cambiamento climatico sono stati meglio documentati, è fondamentale conoscere i fattori che lo minacciano di più.

TRA QUESTI c’è senz’altro il cambiamento climatico, che secondo gli scienziati inciderà ampiamente sulla struttura e sul funzionamento degli ecosistemi di acque profonde. Il Mediterraneo è molto più vulnerabile agli effetti dei cambiamenti climatici rispetto ad altre regioni oceaniche, a causa della maggiore limitazione alimentare e delle più alte temperature delle profondità marine. Secondo i ricercatori le temperature delle acque del Mediterraneo stanno aumentando del 20% più velocemente rispetto alla media globale, con conseguenze destinate a intensificarsi nei prossimi decenni. Un fattore che determina a sua volta conseguenze pericolose come l’acidificazione delle acque e l’invasione di specie aliene.

ALTRI FATTORI CHE MINACCIANO gli ecosistemi di profondità del nostro mare sono l’inquinamento da rifiuti, l’inquinamento acustico generato dal traffico marittimo e l’industria estrattiva e mineraria delle profondità marine. Ma l’impatto prevalente sull’ecosistema marino è provocato dalla pesca industriale, sempre più invasiva, aggressiva e dotata di tecnologie che le consentono di raggiungere profondità inesplorate e di localizzare le prede con strumenti molto all’avanguardia.

QUESTO TIPO DI PESCA, A CAUSA del declino degli stock ittici dovuto al sovrasfruttamento, si sta gradualmente estendendo verso le acque più profonde, mettendo a rischio anche gli ambienti più vulnerabili. La profondità media delle attività di pesca sta aumentando a un tasso di circa 62,5 metri per decennio, da 200 a 1.000 metri.

LE PRINCIPALI ATTIVITA’ DI PESCA in acque profonde nel Mar Mediterraneo hanno come obiettivo i gamberi rossi di acque profonde, in genere tra i 400 e gli 800 m di profondità, i gamberi rosa di acque profonde, il nasello europeo e lo scampo pescati a una profondità dai 300 ai 500 metri. Attualmente i livelli di protezione completa o elevata coprono solo lo 0,23% del Mar Mediterraneo e lo sforzo di conservazione è fortemente sbilanciato tra la sponda nord e quella sud del bacino, poiché quasi il 97% della protezione marina totale si trova nelle acque dell’Unione Europea.

C’E’ DA AGGIUNGERE CHE DAL 2005 sono vietate le draghe trainate e le reti a strascico a profondità superiori ai 1000 metri. Un divieto applicato in tutto il Mediterraneo e nel Mar Nero come misura precauzionale per la tutela degli ecosistemi di profondità. Però, nonostante l’aumento delle conoscenze sulla vulnerabilità degli ecosistemi di acque profonde e sull’impatto della pesca, negli ultimi 17 anni questo limite di profondità non è mai stato esteso.

NELLA COP 15 CHE SI E’ SVOLTA A MONTREAL a fine 2022, 190 nazioni hanno concordato di preservare il 30 per cento della terra e dei mari del pianeta entro il 2030, con l’obiettivo di arrestare il pericoloso declino della biodiversità. La protezione delle profondità marine è ancora più essenziale per raggiungere questo obiettivo. Mentre nell’Atlantico nord-orientale vige da qualche anno il divieto di pesca oltre gli 800 metri, nel Mediterraneo è ancora possibile pescare a questa profondità nonostante le condizioni del nostro mare siano ben più critiche.

PER QUESTO «MEDREACT» CHIEDE con urgenza l’estensione del divieto alla pesca di fondo oltre gli 800 metri in tutto il bacino e una protezione rafforzata per le aree di grande importanza ecologica per la ricostituzione degli stock ittici, delle specie e degli habitat a rischio. Queste, meglio conosciute come Fish Recovery Areas o FRA, sono state individuate nel Golfo del Leone, al largo del Delta dell’Ebro, nel Canale di Otranto, nello Stretto di Sicilia e nel mare di Alboran e proposte per l’istituzione alla Commissione Generale per la Pesca nel Mediterraneo.