Visioni

Salvato dalla Patria

Salvato dalla Patria

Al cinema Nelle sale «A testa alta» che aveva aperto Cannes, diretto da Emmanuelle Bercot. La parabola travagliata del sedicenne border come celebrazione dei «valori» della Francia messi in crisi in questi giorni

Pubblicato quasi 9 anni faEdizione del 19 novembre 2015

Nell’’ultima inquadratura Malony, il protagonista, si lascia alle spalle (forse) per sempre il palazzo di giustizia che è stato la sua vera casa, e una vita che in appena sedici anni si è già affollata di file giudiziari, processi, tribunali, giudici e avvocati. Non è andato a scuola, sa scrivere appena, le sue esplosioni furiose di sentimenti negati lo hanno sempre mandato fuori controllo.Ma ora è accaduto qualcosa di importante: come una Madonna Malony avanza sulla «retta via» stringendo tra le braccia un neonato, suo figlio, e la responsabilità di padre, genitore all’’improvviso cancella la violenza, i furti, la passione insana per le automobili che ruba e lancia a velocità massima.

La colpa del destino di Malony è come sempre la madre, puttana e tossica la sua (Sara Forestier) molto «alla» Ellroy, che a sei anni lo ha buttato in una casa famiglia dandogli un pizzicotto sul naso perché non sopportava la sua vivacità distruttiva. E poi ha continuato a mischiare un caos di amore e rifiuto inseguendo i suoi uomini davanti ai quali quei figli – ne ha anche uno più piccolino – diventano un peso da scrollarsi di dosso.

Per fortuna c’era il giudice minorile, Catherine Deneuve molto dentro la parte, che ha fatto da madre a Malony, lo ha visto crescere dentro e fuori dagli istituti insegnandogli a placare il furore cieco. Poi c’è quella ragazza, è la figlia di una delle educatrici della casa di pena per minori, ha la stessa sua rabbia, anche lei contro sua madre, box e capelli cortissimi da maschio, ma quando lo bacia è con tenerezza. Fanno l’amore e lei rimane incinta, il 23 dicembre, Gesù redentore di una vita predestinata allo sfascio, la serenità che a Malony fa sconfiggere i fantasmi.

Film di apertura allo scorso Festival di Cannes, La Tete haute – A testa alta – firmato dalla regista, sceneggiatrice e attrice (Palma d’oro per Mon roi) Emmanuelle Bercot è un film che celebra al meglio i valori della Francia repubblicana, messi radicalmente in crisi in questi giorni: giustizia, educazione, responsabilità occuparsi dei propri giovani in senso lato per evitare di trovarsi all’improvviso dei delinquenti o, appunto, potenziali terroristi (non a caso nei molti istituti correzionali a cui Malony viene assegnato è spesso l’unico «francese» non nero o arabo e per questo accusato dagli altri di beneficiare di maggiori indulgenze). Diciamo il sentimento (reazionario) «giusto» delle unità nazionali: polizia, prigione che a piccole dosi fa anche bene per imparare i veri valori della vita. E famiglia naturalmente compreso un violento attacco all’aborto che i figli fanno solo bene pure se non hai lavoro e hai ancora molti problemi aperti.

Il film ci crede «davvero» anche perché nonostante il riferimento esplicito al cinema dei fratelli Dardenne, Bercot non lavora come i due registi belgi sulle nuance ma illustra la sceneggiatura in modo meccanico e artificioso, senza aprire nella sua narrazione alcun margine di ambiguità. E non respira neppure della critica alla Loach a proposito di madri borderline e istituzioni. Siamo più dalle parti di certa fiction tv, Bach dispiegato a profusione in ogni scena madre i personaggi vengono utilizzati come dimostrazioni di una tesi: da una parte l’’ambiente borderline del ragazzo Malony – attore intenso, il giovanissimo Rod Paradot – dall’altra le istituzioni comprensive, illuminate, che vanno in crisi quando sbagliano anche se, ovviamente, il solo a picchiare Malony sarà il suo tutore – Benoit Magimel – che viene dallo stesso mondo, redento a sua volta da giudici e carcere.

Tutto è molto chiaro, netto, esattamente come ci si aspetta, rassicurante nel celebrare (con molta convinzione) la fiducia alle istituzioni di cui c’’è molto bisogno (qualcosa si è rotto radicalmente ma non nella visione di Bercot). Che poi ci sia altro, che poi i figli come dice il personaggio di Magimel non possono essere una soluzione né un progetto, che tutti sono buonissimi dalla parte delle istituzioni – salvo una preside che non prende Malony a scuola e il procuratore che spinge per la prigione ma forse aveva ragione lui visto che al ragazzo giova – non conta. Il film non interroga né si interroga. Svolge la funzione: rappresentare una parabola «educativa» perfetta.

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