Economia

Salta la fusione, Elkann ora è solo

Salta la fusione, Elkann ora è soloI loghi di Renault e Fca – Foto LaPresse

Capitalismo Globale Renault chiedeva tempo per convincere i giapponesi. Fca: partita chiusa. Lettera ai dipendenti: siamo coraggiosi. Polemiche fra governi. Di Maio fa il liberista: meglio star lontani dall’economia. La Cgt festeggia: fallita una operazione meramente finanziaria

Pubblicato più di 5 anni faEdizione del 7 giugno 2019

La fusione Renault-Fca è saltata nella notte di mercoledì, prendendo in contropiede perfino l’ex quotidiano degli Agnelli che ieri mattina titolava: «Verso il sì».

La realtà è che a far pendere la bilancia sul «No» francese è stata l’opposizione dei giapponesi di Nissan, che oltre l’astensione dei due loro membri nel Cda di Renault non potevano andare.

ORA GLI AGNELLI ATTACCANO il governo francese, ma in questo modo svelano una doppia ipocrisia italiana. Da una parte loro che non abituati a trattare con un governo in Italia, attaccano Macron che protegge gli interessi del proprio paese. Dall’altra dei liberisti nostrani alla Calenda che chiedono l’intervento del nostro dopo 10 anni di silenzio in cui hanno permesso a Fca di fare ciò che voleva facendo dell’Italia una succursale in chiusura di un gruppo che paga le tasse in Olanda e vende quasi solo negli Stati Uniti.

E allora se ora Renault si dice delusa e il governo francese non considera tramontato il progetto di fusione, per Fca la partita è chiusa. «Ci vuole coraggio per iniziare un dialogo come abbiamo fatto noi. Quando però diventa chiaro che le conversazioni sono state portate fino al punto oltre il quale diventa irragionevole spingersi, è necessario essere altrettanto coraggiosi per interromperle», spiega il presidente John Elkann in una lettera ai dipendenti.

SE SUI MERCATI I TITOLI dei due gruppi ballano per poi chiudere quasi stazionari, è polemica anche tra i governi. «L’esito dei negoziati dimostra che quando la politica cerca di intervenire in procedure economiche non sempre fa bene, non mi esprimo ulteriormente», dice il vicepremier Luigi Di Maio. La partecipazione dello Stato francese «non ha nulla a che vedere» con il fallimento del progetto, replica il ministero dell’Economia a Parigi. Si schierano contro l’esecutivo italiano i sindacati. «In Francia – osserva il leader della Cgil, Maurizio Landini – ne hanno discusso tutti. In Italia nessuno». Di «occasione persa», parlano i segretari generali della Cisl Anna Maria Furlan e della Uil Carmelo Barbagallo, ma anche il presidente di Confindustria, Vincenzo Boccia.

LA DECISIONE DI FCA DI RITIRARE l’offerta è arrivata nella notte dopo la richiesta del board di Renault – su insistenza dello Stato francese, azionista del costruttore con una quota del 15,1% – di chiedere altri giorni di tempo. Il ministro dell’Economia, Le Maire, spiega che «un accordo era stato trovato su 3 delle 4 condizioni imposte dalla Francia (tutela lavoro e siti industriali, governance, partecipazione al progetto sulle batterie elettriche franco-tedesco, pieno coinvolgimento dell’alleanza con Nissan), restava da ottenere il sostegno esplicito di Nissan». «Ci stavamo approcciando in modo positivo» ai negoziati e «c’era una chance di incrementare le opportunità» per Nissan, commenta il ceo giapponese Hiroto Saikawa, ma la verità è che i giapponesi sono sempre stati contrari alla fusione per paura di perdere la tecnologia e parti del mercato asiatico.

PLAUDE AL FALLIMENTO delle nozze il sindacato Cgt di Renault per il quale si trattava di un’operazione «puramente finanziaria e lontana da una reale strategia industriale». Il tema della futura alleanza, al centro della strategia dell’ex ad di Fca Sergio Marchionne, torna ora alla ribalta. «Fca, sotto la leadership di Mike Manley è una società straordinaria, piena di persone eccezionali con una chiara strategia per un futuro forte e indipendente – scrive Elkann senza fare alcun riferimento ai 5 miliardi investimenti previsti in Italia dall’ultimo piano industriale – . Continueremo a essere aperti a opportunità di ogni tipo che offrano la possibilità di rafforzare e accelerare la realizzazione di questa strategia e la creazione di valore».

Gli 85mila lavoratori del gruppo – in buona parte alle prese con gli ammortizzatori sociali – sembrano non crederci molto.

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