Ieri al Salone del libro di Torino, un gruppo di attiviste del movimento non violento Extinction Rebellion insieme alle femministe di Non Una Di Meno, hanno manifestato il proprio dissenso a Eugenia Roccella, ministra per la famiglia, la natalità e le pari opportunità. Nello spazio autonomo di competenza regionale, l’Arena Piemonte, la presenza di Roccella era prevista in qualità di autrice del romanzo Una famiglia radicale (Rubbettino) ma l’incontro programmato per le 13 non si è potuto svolgere perché, dopo le proteste, la ministra ha rinunciato dichiarando: «Per democrazia, a voi sconosciuta, lascio il palco per l’evento di Casa Ugi».
Il punto è stato politico e lo spiegano le attiviste che hanno contestato le dichiarazioni della ministra, e non della scrittrice, Eugenia Roccella in merito all’aborto che «purtroppo» – come ha detto pubblicamente in altra sede – è una delle libertà delle donne». È a partire da questa posizione, antitetica e inconciliabile con chi ritiene che invece l’interruzione volontaria di gravidanza debba restare una libertà e un guadagno di autodeterminazione riguardanti esclusivamente ciascuna, riproduzione compresa, che al Lingotto una quindicina di ragazze si sono fatte avanti con slogan e brevi canzoni, inizialmente dal pubblico, poi sdraiandosi a terra come atto di disobbedienza e resistenza tramite il proprio corpo (alcune di loro in serata sono state identificate dalla Digos).

Eugenia Maria Roccella al salone internazionale del libro di Torino – foto Ansa

DI QUESTO CORPO VIVO fa parte anche la Terra, con il disastro climatico in corso e il reiterato abuso dei territori, infine la tragedia. Ed è con queste evidenze che si comprendono meglio le parole delle attiviste che hanno manifestato, insieme ad altri movimenti, anche fuori dal Salone «per un futuro più vivibile» e che però, chiamate al diretto confronto da Roccella, non hanno risposto, salendo sul palco per leggere un proprio comunicato. Una in particolare, giovanissima, ha preso il microfono e ha letto un testo: «Non possiamo stare a guardare mentre gli spazi ci vengono tolti per dare spazio a posizioni antiabortiste. La priorità è il clima, la regione deve prendere misure concrete per contrastare la crisi climatica». Le ragazze hanno poi detto che «mentre in Emilia-Romagna si contano ancora i morti e i dispersi, i ministri del governo italiano, da giorni, presiedono gli spazi di uno degli eventi culturali più importanti d’Italia. Oggi era il turno di Roccella, ministra che ha più volte dichiarato che ‘purtroppo l’aborto è un diritto delle donne’. E questo accade qui, nella regione in cui un medico su due si rivela obiettore di coscienza».

NICOLA LAGIOIA, direttore del Salone del libro (per l’ultimo anno), ha cercato di mediare riconoscendo che «in democrazia le contestazioni sono legittime purché non violente» e invitando al dialogo perché «il gioco democratico tra cittadini e potere è fatto anche di dure critiche. Mi sembrava – ha proseguito Lagioia – che i contestatori non accettassero questo tipo di invito. Anche qui: chi contesta, purché in modo non violento, decide come contestare».
È a questo punto che Augusta Montaruli, deputata di Fdi, ha urlato contro di lui «vergogna, vergogna», causando l’interruzione della mediazione.

IN QUESTA VICENDA ci sono diversi ordini di problema: il primo è un fatto all’apparenza lessicale ma risulta politico giacché diritti e libertà non sono la stessa cosa. E quando in gennaio Eugenia Roccella ha risposto alla domanda della conduttrice televisiva Serena Bortone «L’aborto fa parte di una delle libertà delle donne?», con quel «Purtroppo sì» ha confermato e rinforzato un processo di legittima e profonda preoccupazione in merito alla 194. Che dei corpi possiamo disporne come desideriamo la si può considerare una libertà, poi un diritto; i piani sono nettamente distinti, talvolta si parlano, come in questo episodio, fino a confondersi. Chi agisce da un ruolo apicale e di potere come quello rivestito da Roccella dovrebbe saperlo, sempre. E anche chi pensa di aprire una contestazione che sia efficace. Qui sta il secondo elemento, il più dolente: non è la democrazia a essere in pericolo. Assistiamo piuttosto a una impotenza paralizzante che preferisce la strada della rottura. Come ha scritto Judith Butler sulle pagine di questo giornale pochi giorni fa, ci sono lutto e perdita e nuove forme di lotta. E sono questioni molto serie.
L’ultimo nodo riguarda l’efficacia dei conflitti che si intendono aprire, che siano più fertili, soprattutto quando l’esito è che chi viene contestato riesca a passare nell’opinione pubblica come una vittima di censura.