La notizia è che di fronte alle avances (un po’ generiche) di Giorgia Meloni sul salario minimo, le opposizioni che hanno formulato nelle settimane scorse la proposta restano unite. Chiedono innanzitutto che la maggioranza ritiri il suo emendamento soppressivo e si dicono pronte a presentasi in parlamento già il 27 luglio per discutere nel merito della proposta, così come era stato già stabilito dalla conferenza dei capigruppo. La controparte, finora sempre impermeabile a ogni iniziativa, si ritrova all’improvviso sulla difensiva: cerca di salvare capra e cavoli, perché capisce che a questo punto presentarsi al dibattito in aula con una chiusura netta e senza argomenti sarebbe controproducente.

LA DECISIONE di tirare dritto è uscita dalla riunione cui hanno partecipato i capigruppo alla Camera e nella commissione Lavoro di Pd, M5S, Azione e Alleanza Verdi Sinistra. C’erano anche Riccardo Magi e l’ex sottosegretaria all’economia Cecilia Guerra. «Come minoranze abbiamo chiesto e ottenuto che il dibattito sia in aula: sarà giovedì – dice Guerra – Vorrei sottolineare che è da marzo che il provvedimento è incardinato in commissione lavoro. Abbiamo fatto tantissime audizioni, e siccome noi opposizioni siamo arrivate a una proposta solida e unitaria non si capisce perché la maggioranza cominci a pensare solo adesso a quello che vuol fare. Da loro per ora non è arrivata nessuna proposta». «Giorgia Meloni non giochi con la vita di milioni di lavoratori poveri, sfruttati e sottopagati – aggiunge il capogruppo del Partito democratico in commissione Arturo Scotto – Diano una risposta chiara: non cancellino la nostra proposta, ci facciano discutere alla luce del sole sul salario minimo. In parlamento e nel paese».

I PROMOTORI della pdl, aggiunge Matteo Richetti da Azione, sarebbero anche disposti a questo punto di incontro: «La maggioranza ritiri l’emendamento soppressivo e la minoranza accetti di andare in Aula senza il mandato al relatore». In quella sede si potrà «iniziare la discussione generale sul testo unitario delle opposizioni dopo la pausa estiva: così la maggioranza potrà presentare i suoi emendamenti e sarà il parlamento, a quel punto, a trovare una base per l’intesa».

DA ALLEANZA Verdi Sinistra, il deputato Franco Mari non chiude le porte a questa ipotesi: «Questo è un fatto tecnico che decideremo – afferma – Il fatto politico che chiediamo è che ci sia da parte della maggioranza il ritiro del soppressivo». Il leader M5S Giuseppe Conte la riassume così: «La maggioranza e il governo hanno la possibilità di confrontarsi in Commissione con proposte concrete, finora non abbiamo avuto nulla, siamo ancora rimasti a chi parla di misura ideologica, sovietica, chi dice che è una forma di assistenzialismo. Se ci sono contributi o emendamenti costruttivi li possiamo considerare, ma altrimenti non accettiamo rinvii, bluff e meline». Cambiano i toni, dunque, ma il senso è quello uscito dal coordinamento dei partiti di opposizione. E questa volta rischia davvero di ingolfare la macchina del governo.

UNA POSSIBILE soluzione è quella che per convenzione nella maggioranza chiamano la «proposta Durigon». Il lodo del sottosegretario leghista al lavoro prevede che il provvedimento sia arrivi all’aula come da calendario, cioè giovedì, senza che oggi in commissione lavoro sia votato l’emendamento soppressivo della maggioranza. Una volta in aula le stesse forze che sostengono il governo potrebbero chiedere il rinvio dell’esame.

LA PROPOSTA da regolamento avrebbe bisogno di passare il vaglio del voto. Ma la maggioranza, a quel punto, approverebbe il rinvio che chiede da settimane. E così avrebbe tempo fino a settembre per elaborare una sua strategia e magari una proposta. «Bene che non si voti l’emendamento soppressivo – dice a questo punto Scotto – Non mi convince però che si vada in aula e poi si sospenda il lavoro sul salario minimo. Magari perché si perda nel porto delle nebbie delle divisioni della maggioranza. Per noi si può lavorare anche ad agosto. Non ci interessa alcun rinvio e non lo sosteniamo».