Lavoro

Salari italiani sempre più giù, record europeo di precarietà

Castelnuovo Vomano, calzaturificioLavoratori in una fabbrica – Foto Ap

Sottocosto Studio della Cgil: lavoriamo più di tedeschi e francesi ma guadagniamo un terzo di meno. L’incidenza del part time involontario è del 57,9%, il lavoro a termine è del 16,9%: più alte dell’Eurozona

Pubblicato 8 mesi faEdizione del 17 marzo 2024

Sempre di più e sempre più poveri. I lavoratori dipendenti in Italia continuano a scivolare verso il baratro della insostenibilità delle loro esistenze. E le cause primarie sono sempre uguali: bassi salari rispetto al resto d’Europa e precarietà sempre più alta.
La denuncia della Cgil – l’ennesima – arriva con uno studio dettagliato dei redditi dei lavoratori. Sui circa 17 milioni di dipendenti del settore privato, ben 5,7 milioni – molto più di un terzo – guadagnano in media meno di 11 mila euro lordi annui, pari a meno di mille euro al mese. Cifra che, specie nelle grandi città, non garantisce un’esistenza decente.

LO STUDIO RAFFRONTA I DATI con le maggiori economie dell’Eurozona (su dati Ocse) e spiega come nel 2022 il salario medio in Italia si sia attestato a 31,5 mila euro lordi annui, un livello nettamente più basso rispetto a quello tedesco (45,5 mila) e francese (41,7 mila). A determinare un minore salario medio in Italia concorrono anche una maggior quota delle professioni non qualificate, l’alta incidenza del part time involontario – 57,9%, la più alta di tutta l’Eurozona – e del lavoro a termine (16,9%) con una forte discontinuità lavorativa.

NEL 2022 OLTRE LA METÀ dei rapporti di lavoro cessati ha avuto una durata fino a 90 giorni e «benché in Italia si lavori comparativamente di più in termini orari, i salari medi e la loro quota sul Pil sono notevolmente più bassi», sottolinea la Cgil. Guardando al settore privato, nel 2022 il salario medio dei 17 milioni di lavoratori dipendenti (dati Inps, esclusi agricoli e domestici) si è attestato a 22.839 mila euro lordi annui, un aumento medio del +4,2% rispetto al 2021 (+911 euro lordi annui), nettamente inferiore all’inflazione del 2022.

IL 59,7% DI QUESTA PLATEA ha salari inferiori alla media generale, ed è composto da oltre 7,9 milioni di dipendenti discontinui e da oltre 2,2 milioni di lavoratori part time per l’anno intero. Nel settore pubblico i dipendenti nel 2022 sono stati 3.705.329, con un salario medio di 34.153 mila euro lordi annui. L’aumento salariale è stato superiore al settore privato, pari al +6,3% rispetto al 2021 (circa 2 mila euro lordi annui) ma, anche in questo caso, è stato inferiore all’inflazione del 2022.

I lavoratori restano con salari non aggiornati, spiega lo studio, anche a causa dei lunghi ritardi nel rinnovare i contratti nazionali di lavoro. Ma la questione salariale caratterizza da decenni il nostro paese ed è frutto anche del modello di sviluppo fondato su un sistema produttivo a basso valore aggiunto che si basa sulla micro-piccola impresa.

Questi elementi tendono a generare una domanda di lavoro meno qualificato, più precario e, di conseguenza, meno retribuito. In ogni caso, resta eclatante il confronto con gli altri grandi paesi dell’euro: nel 2022, secondo i dati Ocse, le ore medie lavorate annualmente dai lavoratori dipendenti in Italia sono state 1.563, un numero pari a quello della Spagna ma decisamente più alto di quello osservato in Germania (1.295 ore) e in Francia (1.427 ore). Mettendo a confronto le ore lavorate e la quota salari sul Pil, emerge come in Italia, benché si lavori comparativamente di più, la quota di reddito destinata a remunerare il lavoro dipendente tramite i salari sia notevolmente più bassa, perfino della Spagna.

La differenza tra la media salariale del settore pubblico e quello del settore privato è determinata in buona parte dal minor peso del part time e della precarietà nei settori pubblici.

A COMMENTARE I NUMERI è il segretario confederale della Cgil Christian Ferrari: «I dati non potrebbero essere più eloquenti. Se passiamo dal lordo al netto, risulta che, nel 2022, 5,7 milioni di lavoratrici e lavoratori hanno guadagnato l’equivalente mensile di 850 euro, altri due milioni di dipendenti arrivano ad appena 1.200 euro al mese. E la situazione non è certo migliorata nel 2023, anno in cui l’inflazione ha raggiunto il 5,9%, cumulandosi con quella dei due anni precedenti, raggiungendo un totale del 17,3%». Ecco allora cosa bisogna fare: «Per recuperare il grande divario accumulato con gli altri grandi paesi europei, occorre – aggiunge Ferrari – intervenire contestualmente su tutti i fattori che determinano i bassi salari: precarietà, discontinuità, part time involontario, basse qualifiche e gravi ritardi nel rinnovo dei contratti».

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