Sachs, disavventure di un talento postumo
Ritratti letterari Rivisitiamo l’esistenza sfrontata di Maurice Sachs, di cui Lindau traduce adesso il primo libro, Alias (1935): la cronaca intrigante e pettegola delle perversioni dei borghesi parigini
Ritratti letterari Rivisitiamo l’esistenza sfrontata di Maurice Sachs, di cui Lindau traduce adesso il primo libro, Alias (1935): la cronaca intrigante e pettegola delle perversioni dei borghesi parigini
Il suo primo libro, pubblicato nel 1935, fu Alias, ora tradotto da Federico Zaniboni per Lindau (pp. 148, e 14,00). Quando uscì non suscitò alcun interesse, pur essendo una intrigante e pettegola cronaca delle perversioni e delle nefandezze dei borghesi parigini del tempo. Era tuttavia l’incipit di una autobiografia, impudica e sfrontata, esibita in diversi «romanzi», dei quali però Maurice Sachs riuscì a pubblicare soltanto, nel 1939, Au temps du Bœuf sur le toit (Ai tempi del Bœuf sur le toit, Lindau 2020). Il resto della sua produzione letteraria, «prodezze» raccontate con formidabile talento, fu conosciuto quando Sachs si era ormai «dissolto». In una ormai decomposta Germania, un giorno del 1945, sul ciglio di una strada verso Kiev, aveva incontrato la morte con una fucilata alla nuca sparata da uno dei nazisti in fuga ai quali si era accodato. Aveva trentanove anni.
Nato il 16 settembre 1906, si chiamava in realtà Jean-Maurice-Jacques Ettinghausen. Sachs era il nome della madre, discendente da una famiglia della borghesia ebraica rovinata dalla crisi economica. Sua nonna aveva sposato, in seconde nozze, Jacques Bizet, figlio del compositore della Carmen. Maurice annotò nel suo diario: «Ho ereditato da mia madre la mancanza di equilibrio e la passione; da mio nonno Sachs la curiosità e l’amore per la letteratura; da mia nonna la frivolezza, un certo buon gusto e una strana forma di egoismo, che è una specie di indifferenza di fondo; e da ciascuno di loro un bisogno di lusso, una punta di follia e una straordinaria robustezza nell’anima».
Con la madre, inseguita dalla giustizia per assegni a vuoto, fuggì a Londra. In un collegio londinese, iniziato alle amicizie particolari, si scoprì dotato di una grande forza di seduzione. Decise di diventare scrittore. Non ha ancora diciotto anni quando ritorna a Parigi. Si descrive non particolarmente bello. Ha tuttavia la capacità di esercitare un fascino che, coniugato a una vivace intelligenza e a una cultura non comuni, gli consente di soddisfare ambizioni e vanità. Usa il proprio charme per entrare negli ambienti intellettuali e sofisticati. Frequenta Max Jacob. Poi, «sostituendo» Raymond Radiguet che ha perduto da poco, diventa intimo di Cocteau. Quando incontra Jacques Maritain, non gli ci vuole molto per scoprire Dio. Nato ebreo, rinnega Javhé. Si fa battezzare. Non gli basta. Infervorato dalla nuova fede entra in seminario, dove ne combina d’ogni. Viene sbattuto fuori. Dopo l’ esaltazione religiosa Maurice Sachs decide «di non conoscere altro tempio all’infuori della natura, di non adorare che il sole, di non venerare che il membro splendente dell’uomo e il ventre profondo che lo porta». Si tuffa in una Parigi, allora, groviglio di talenti.
Frequenta quel mondo e annota: «Al numero 12 di Rue de l’Odéon, la libreria “Shakespeare & Company” aperta dall’americana Sylvia Beach, James Joyce non arrivava mai prima di mezzogiorno… Scott Fitzgerald è solito accomodarsi a leggere nella veranda mentre Hemingway fa incetta di letteratura russa…». Incontra tutti: Sherwood Anderson, Thornton Wilder, John Dos Passos, Henry Miller, T.S. Eliot, Gertrude Stein, Valery Larbaud, Paul Valéry… Il 2 febbraio 1922 Sylvia Beach, in veste di editore, pubblica Ulysses di Joyce. Da lì a poco per cura di un’altra libreria, quella di Adrienne Monnier al 7 di Rue de l’Odéon, dell’Ulysses uscirà la prima traduzione in francese.
Intanto l’intricato Sachs, che è sempre in mezzo, appunta: «A casa di Adrienne Monnier si è tenuta una lettura del Socrate di Erik Satie… Ne siamo rimasti molto colpiti: subito non sapevamo cosa aspettarci e quale artistico divertimento Satie avesse escogitato… Adrienne Monnier, rotonda, rosea, ilare, lo sguardo vivace, vestita con quel curioso costume che indossava sempre, una via di mezzo tra una suora e una pastorella… Tra gli astanti André Gide, Paul Claudel, Jean Cocteau e Francis Jammes… È stato pubblicato un libro rivoluzionario – dal punto di vista letterario – che si intitola Dalla parte di Swann, e un altro intitolato All’ombra delle fanciulle in fiore… Se ne parla a casa di certe persone particolarmente curiose o nell’ufficio di Jacques Rivière alla NRF…».
Comincia a scrivere, si ubriaca, frequenta bordelli, tenta di fare l’ editore, commercia in quadri. Quest’ultima «impresa» lo porta a New York, dove dirige con scarsa fortuna una galleria d’ arte, contrae un precipitoso matrimonio con una ereditiera, e lo interrompe bruscamente. Il motivo del divorzio è un giovane californiano «bello, tenero, intelligente ed entusiasta» che si chiama Henry Wibbles. Con il «bel californiano» ritorna a Parigi dove lo attendono i bui anni trenta, anche se per Sachs sono ancora tempi di continue esaltazioni. Più tardi, nella Parigi occupata dai nazisti, conduce una vita fastosa.
Scrive molto, ma al tempo stesso si dedica al mercato nero, traffica con l’oro e in generi alimentari. Passa da un sontuoso appartamento in Rue de Rivoli, a un albergo di Rue Cambon, a una mansarda di Quai Conti. Si carica di debiti. Per sfuggire ai guai, e a chissà quali ricatti, parte lavoratore volontario in Germania. Va come operaio in una fabbrica di Amburgo. In realtà è già da tempo un informatore della Gestapo.
Maurice Sachs è un delatore zelante. La sua capacità di sedurre, rivelatasi tanto utile negli ambienti mondani e letterari, lo aiuta adesso a carpire la fiducia di quei dannati della terra che sopravvivono tra le macerie delle città tedesche bombardate. Quel poco di onestà che gli resta gli gioca tuttavia un brutto scherzo. L’ incontro con un giovane gesuita, padre Jean N., guasta la sua reputazione di agente presso i nazisti, che non ammettono errori o debolezze. Il prete trentenne, audace e leale, lo intimidisce. L’agente francese della Gestapo ne aprezza la forza intellettuale. Non osa denunciarlo. Il gesuita si è infiltrato come finto lavoratore volontario in un campo. La Gestapo ne è a conoscenza, ma Sachs, incaricato di sorvegliarlo, finge di ignorarne l’attività politica. La mancanza non gli viene perdonata. È arrestato e rinchiuso in un carcere, dove però gli è concessa una cella particolare, dove può scrivere: privilegio che deve pagare. Sachs accoglie i nuovi detenuti, li seduce e li fa parlare. Poi, naturalmente, li denuncia. Da lì a poco la drammatica fine sulla strada verso Kiev.
Praticamente inedito in vita, soltanto nel secondo dopoguerra alcuni stralci dell’opera sua apparvero nei «Temps Modernes», la rivista di Sartre. Sul resto, silenzio. Il «curioso disinteresse», sul crinale di un «ostracismo letterario», dipendeva da quanto Sachs metteva in piazza, con nomi e cognomi, le proprie «avventure»: campava prostituendosi con il fior fiore dell’intellighenzia omosessuale parigina; faceva il segretario dei suoi amanti; rubava, commerciava in libri e manoscritti d’antiquariato, all’occorrenza falsificandoli. Non immaginò, forse, che autografi suoi avrebbero suscitato l’interesse di futuri collezionisti. A una recente asta, una lettera manoscritta di Sachs è stata battuta a ottocento euro.
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