La danza come flusso inarrestabile, che di anno in anno non smette di sollecitare la giovinezza nel corpo, intesa come una miracolosa capacità di rendere luminoso il movimento. Una amplitudine di dettagli, di piccoli fremiti mai uguali a se stessi che trasportano lo spettatore in un viaggio non prevedibile. Tutto ciò appartiene a Saburo Teshigawara, Leone d’oro della Biennale Danza di Venezia 2022, giapponese, 70 anni compiuti lo scorso settembre, in queste settimane in Italia con una imperdibile tournée con più di un titolo al suo arco.

Nella bella stagione di danza del Teatro Ponchielli di Cremona, Teshigawara ha portato in prima italiana Ophelia dall’Amleto di Shakespeare. In scena con l’artista l’immancabile Rihoko Sato, partner da moltissimi anni di Saburo: insieme hanno trasformato in tracce incandescenti testi e partiture da L’idiota di Dostoevskij al Tristano e Isotta di Wagner, alla serie meravigliosa di adagi tra Bach, Mahler, Ravel, Rachmaninov, Bruckner danzati nel duo intitolato Adagio in replica stasera al Ristori di Verona e il 30 al Teatro del Giglio di Lucca.

Ma eccoci a Ophelia. Rihoko è lei, Saburo Amleto. Nulla di didascalico, né di meramente narrativo, eppure quante le suggestioni che invitano a una rilettura del capolavoro shakespiriano. Ofelia, la giovane che deve ubbidire per tradizione antica verso padre e fratello, la donna innamorata che finirà per impazzire, e Amleto, che la corteggia, ma poi la sfugge, consigliandole il convento, mentre torvo rimugina sull’incontro con lo spettro di suo padre e sull’inevitabile vendetta.

LA SCENA è rischiarata al centro dove Ofelia/Rihoko si rispecchia nella luce del pavimento. Il suo movimento si apre nell’ombra in una spirale che prende via via spazio. La follia non è un urlo, ma un’onda senza riposo. Amleto/Saburo, in nero, gioca per apparizioni e scomparse. Emerge dal buio, sulla sinistra, avanzando verso il proscenio, poi sparisce. Gli incontri tra i due sono sempre intrisi di una impossibile pace. Una fragilità, una incertezza, data da frammenti di movimento che impediscono l’unione duratura.

UN ABBRACCIO, una carezza sul volto, uno sguardo che vola lontano, uno scatto nervoso che strania. La bellezza vive nel duo in cui Rihoko è avvolta in un velo di pizzo bianco, nostalgia di un matrimonio impossibile che prelude alla fine. Nella sua danza estatica, sembra di sentire le parole di Shakespeare sulla morte di Ofelia, annegata nel ruscello, «una figlia d’acqua», familiare a quell’elemento, trascinata con il suo «melodioso canto a una fangosa morte».

Luci e selezione musicale sono a cura di Saburo con scelte di pregio come la Prima Rapsodia per clarinetto di Debussy che chiude con un moto toccante il duetto o la Suite lirica per quartetto d’archi di Alban Berg. Il tutto intrecciato ai rumori della natura, pioggia, tuoni, uccellini. Le luci non sono da meno, tra colori e tonalità cangianti e contro-luce. Un autore che è un grande maestro: prossima tappa al festival di Montpellier dal 22 al 24 giugno con la nuova creazione Voice of desert.