C’è sempre bisogno di una buona bicicletta, attrezzo che sta con noi nella sua forma attuale da un paio di secoli ineguagliato nella sua efficacia trasduttiva: riesce a moltiplicare l’azione delle gambe di diverse misure, velocizzando l’andare del corpo. Da qui il termine velocipede, dal sapore desueto e che ancora esiste nel nostro codice della strada, il più arretrato del mondo civile e se modificato quasi mai è a sfavore nel mezzo più arretrato in assoluto, l’autovettura come attrezzo di spostamento personale in qualsiasi ambito, persino all’interno degli asili d’infanzia.
Un mezzo, pensate, che si muove usando una serie rapidissima di esplosioni indotte grazie all’utilizzo di infiammabili derivati dalla lunga putrefazione di resti biologici risalenti all’era dei dinosauri. Arretratezza che si rispecchia nell’attualità della capitale d’Italia, Roma. Luogo dove i pedoni ringraziano i rari automobilisti che si fermano sulle strisce pedonali (da qui l’usanza di ringraziare), dove il parcheggio in doppia fila viene percepito come un diritto, da cui le aggressioni verso eventuali controllori del traffico che multano.

In particolare questa usanza – plurime file di parcheggio lungo la carreggiata destinata allo scorrimento – viene percepita come una fatalità da sempre: per esempio il povero Mario Di Carlo, assessore anni ’90, scomparso nel 2011, la definì inevitabile durante un intervento radiofonico e fu crocifisso, ipocritamente, per questo; concetto che ho sentito esprimere nelle sue linee di fondo l’altra sera dall’attuale assessore, con qualche cambiamento di sostanza: l’assessore in carica la definiva come una calamità derivante dal fatto che lo spazio è finito e le macchine sono troppe, da cui l’esistenza del parcheggio illegale.

In tre decenni dunque l’incessante lavorio culturale della società interessata al cambiamento è riuscita a produrre questo slittamento: la doppia fila da necessità a calamità. Tuttavia la doppia fila resta.

Qui da noi esiste anche una via famosissima nel mondo, e che io sappia l’unica in Occidente che è stata candidata a patrimonio Unesco: l’Appia Antica risale al 312 avanti Cristo ed è incessantemente percorsa da autovetture e altri mezzi pesanti persino sui grandi basoli all’altezza della tomba di Cecilia Metella, vissuta nel I secolo aC.

Proprio per questo una serie di associazioni ha pensato di celebrare il 3 giugno, che l’Onu ha destinato alla bicicletta, lungo l’Appia Antica davanti al luogo dove il mito cristiano ricorda l’incontro tra Pietro e Gesù, con il primo che chiede al secondo «Domine, quo vadis?». Lì terremo il 3 giugno un raduno giocoso, con musica e altre iniziative, dalle 10 alle 13, per poi trasferirci a fare un grande picnic sui prati del parco adiacente.

L’obiettivo è dare pace, per quelle poche ore, all’Appia Antica come simbolo di tutte le strade del mondo abusate dalla veicolarità privata. E festeggiare la bicicletta.