La tredicesima scena delle Storie di san Francesco di Giotto nella Basilica superiore di Assisi è dedicata al presepe di Greccio. È una rappresentazione fortemente realistica, quasi documentaria, di ciò che accadde nel paese rietino ottocento anni fa. Infatti, secondo la Vita del beato Francesco di Tommaso da Celano (ma il modello giottesco è la Legenda Maior redatta da Bonaventura da Bagnoregio), il santo poverello in vista della Natività del 1223 disse al nobile Giovanni: «Se vuoi che celebriamo a Greccio il prossimo giorno di festa, sbrigati a precedermi e prepara diligentemente quanto ti dico: voglio infatti evocare il ricordo di quel Bambino nato a Betlemme, e in qualche modo vedere con gli occhi del corpo i disagi in cui si è trovato (…), come fu adagiato in una greppia quando fu messo sul fieno tra il bue e l’asino». Questi ultimi due attanti, divenuti pedine essenziali nell’immaginario comune del presepe – dal latino praesepe, mangiatoia appunto –, sono tratti dal vangelo apocrifo dello Pseudo-Matteo 14 («La Vergine mise il Bambino nella greppia fra l’asino e il bue che l’adorarono»). Eppure, la loro presenza si riveste di un significato tutt’altro che marginale.

In Il presepe di san Francesco Storia del Natale di Greccio (il Mulino, con 80 illustrazioni a colori, pp. 276, € 38,00) la compianta Chiara Frugoni – scomparsa nell’aprile 2022 – ce ne dà una spiegazione ben motivata. Il saggio, suddiviso in tredici capitoli e preceduto da un prologo relativo all’intricata vicenda delle «biografie francescane», era uscito per Mauvais Livres nel 2020 con il titolo Un presepio con molte sorprese. Tuttavia, come scrive Andrea Settis Frugoni nella nota all’edizione, «rispetto alla precedente versione (…) questo volume ha un apparato iconografico più cospicuo. Mentre il testo è quello dato alle stampe dall’autrice, sono state inserite ex novo alcune immagini (…). Era volontà di mia madre ripubblicare questo libro con il Mulino, arricchendolo di illustrazioni e collocandole lungo il testo, là dove ne parla (nel 2020 erano tutte in un inserto in fondo al volume), recuperando le immagini allora rimaste fuori».

La domanda cruciale posta da Frugoni parte dalla realizzazione materiale del presepe: «Perché Francesco scelse di far celebrare il Natale rappresentandolo unicamente attraverso la greppia colma di fieno tra i due animali, trascurando la ben stabilita consuetudine di mostrare i protagonisti della Natività (sia attraverso attori, sia attraverso un quadro o una statua dipinti)?». Gioca qui un ruolo importante lo sfondo storico di riferimento: la Chiesa è divisa tra le crociate e i movimenti ereticali. Ed è proprio il contesto a mostrarci obliquamente la modernità rivoluzionaria dell’impulso evangelico di Francesco: egli suggerisce sì di recarsi in Terra Santa ma «fra (inter) e non contro i saraceni», per far tacere le armi e stabilire una convivenza. «Essere sottomessi e dichiararsi cristiani, intendendo: portatori di pace in Terra Santa, è la prima e principale raccomandazione che Francesco rivolge a tutti i suoi frati, laici e preti». E ancora: «La pace è il punto centrale del progetto di Francesco, instancabilmente ricercata per tutta la vita, pace che coincide con l’essenza stessa del Natale: “Pax in terra hominibus bonae voluntatis”, come annunciano gli angeli nella notte santa, secondo il versetto di Luca 2,14».

In questo messaggio di concordia senza «liti né dispute» si inserisce la nuda frugalità del presepe. Tommaso da Celano ricorda persino «l’emozione di Francesco nel pronunciare la parola Betlemme, come se quella parola racchiudesse il belato di una pecora». Il suono aspro di Betlemme è il significante, il corpo linguistico di un’esistenza dedita alla non concupiscenza. «Greccio – prosegue Frugoni – era il luogo che pubblicamente Francesco dichiarava di prediligere perché vi vedeva attuata la sua scomoda proposta di vita evangelica, di assoluta povertà nei compagni e negli abitanti (…). A Greccio Francesco aveva attuato la sconfessione della crociata e riproposto, attraverso il presepe eucaristico, il bue e l’asino, il suo ecumenico progetto di pace». Come la Leopoli di Adam Zagajewski, Betlemme «era ovunque, purché la si avesse nel cuore: non occorreva uccidere per raggiungerla».