Economia

Ruslana: «Festeggeremo quando saremo tutte uguali»

Ruslana: «Festeggeremo quando saremo tutte uguali»

La lotta paga sempre Il racconto in prima persona: «Sono del Si Cobas da quando hanno licenziato 14 tunisine e filippine perché si erano iscritte. Lavoravano perfettamente, si comportavano con umanità»

Pubblicato circa 5 anni faEdizione del 17 agosto 2019

«Noi continueremo la lotta per quello che ci spetta: il contratto degli alimentaristi per tutti, da subito. Non nel 2022 e con molti esclusi. I sederoni lo devono sapere». L’epiteto modenese – «sederoni» – Ruslana lo usa per i capi di Italipizza, delle cooperative – «che poi è la stessa cosa» – e per quelli che non hanno mai scioperato. Ruslana Stepaniuk è ucraina e vive a Modena da 11 anni. Ha un marito. E un figlio di 12 anni che li ha raggiunti in Italia all’età di cinque.
«Lavoro per la cooperativa Evologica da 4 anni. Il colloquio l’ho fatto a 28 anni nella sede di Italpizza. Mi hanno fatto il contratto da apprendista come socio-dipendente. Naturalmente con il contratto Multiservizi. Il primo mese ti mettono alla prova per vedere se resisti: fai il tappabuco per qualsiasi turno. Anche 13 ore di lavoro con pause brevissime da 10 minuti dove non riesci neanche ad andare in bagno. Prendevo 600-700 euro per 160-170 ore di lavoro al mese compreso il sabato e i notturni con preavviso di poche ore: fa meno di 5 euro netti all’ora. E per 10 mesi mi trattenevano anche i 50 euro di quota sociale alla cooperativa».
«Mi hanno messo subito al reparto farcitura. Mi avevano chiesto se avevo allergie. Stavo sulla linea ed ero piuttosto brava. Tanto che dopo poco mi hanno spostato al controllo della linea. Avevo una responsabilità su come andava la farcitura ma venivo pagata uguale».
«Andai a protestare. I capi di Italpizza mi dissero che era impossibile. Quelli di Evologica che Italpizza non vuole aumenti di stipendio. Comandavano loro, la cooperativa era finta».
«Mi sono iscritta al Si Cobas quando ho visto una cosa che mi ha fatto venire una stretta al cuore: 14 donne tunisine e filippine licenziate perché si erano iscritte a quel sindacato. Lavoravano perfettamente, si comportavano con umanità. Con loro e le altre dobbiamo parlare in italiano per forza perché sennò non ci capiamo: così si fa integrazione».
«Poi abbiamo deciso di scioperare. Mi hanno tolto subito la responsabilità del controllo di linea. Mi hanno fatto ridere: tanto non mi pagavano, cosa me ne frega della responsabilità?».
«Hanno iniziato a parlare male di noi: che eravamo “vandali”, “cattivi”, che avremmo fatto “chiudere la ditta».
«Lo scorso inverno abbiamo iniziato i blocchi. È stata dura. Peggio che lavorare. Ma quando capisci che ti fregano, che ti trattano come una schiava, la forza la trovi per stare al picchetto notte e giorno».
«Sono stata picchiata dalla polizia: manganellate, strattoni quando non facevamo passare i camion. Denunciata per resistenza e portata in Questura perché non avevo i documenti. Anche mio marito che è venuto ad aiutarci è stato picchiato».
«Io sinceramente non posso dire che abbiamo vinto. Sì, le cose miglioreranno. Ma finché non vedrò il nuovo contratto e i soldi – che poi sono 580 euro lordi, solo la metà netti – non dirò che va meglio. Avremo vinto veramente quando tutti avranno il contratto degli alimentaristi. Quel giorno sì che festeggeremo».

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