Visioni

Rusalka, fiaba psichedelica tra principi e ninfe mutanti

Rusalka, fiaba psichedelica tra principi e ninfe mutantiUna scena da «Rusalka» – foto di Brescia & Amisano/La Scala

A teatro Debutta alla Scala la penultima opera di Dvorák nell’allestimento curato da Emma Dante

Pubblicato più di un anno faEdizione del 10 giugno 2023

Il 31 marzo 1901, due mesi dopo la morte di Giuseppe Verdi, al Teatro Nazionale di Praga debuttava Rusalka, penultima opera del ceco Antonín Dvorák. Si tratta di un capolavoro in cui il compositore trova un equilibrio perfetto tra i modelli drammaturgici e musicali ai quali si ispira da sempre (Brahms e Wagner), qualche insolito riverbero verdiano (si sente odore di Aida nel chiaro di luna con cui si apre il III atto), la passione per la musica folklorica del suo paese e la spontaneità della sua vena melodica. La riuscita dell’opera si deve anche al libretto, allo stesso tempo funzionale ed evocativo, scritto da Jaroslav Kvapil ispirandosi al racconto Undine di La Motte Fouqué e alla fiaba La sirenetta di Andersen: lontano dal finale speranzoso della fiaba (la Sirenetta getta il pugnale prima di uccidere il principe, ottenendo così un’anima immortale che dopo trecento anni potrà andare in Paradiso) e dal successivo arcinoto happy end con matrimonio di Disney (sia nella versione animata del 1989 sia in quella in live action con Ariel di colore nelle sale ora), la versione di Kvapil resta fedele al finale cupo di La Motte Fouqué, in cui il principe muore per un bacio mortale tra le braccia della ninfa.

PER IL DEBUTTO italiano Rusalka ha dovuto aspettare fino al 1958, quando venne messa in scena al Teatro La Fenice di Venezia. Al Teatro alla Scala di Milano invece l’opera non è mai stata rappresentata fino a oggi. L’attesa di 122 anni viene ricompensata da un allestimento, in scena fino al 22 giugno, che restituisce l’incanto dell’originale grazie alla direzione di Tomáš Hanus, che proprio con Rusalka ha debuttato alla Wiener Staatsoper ed è tornato a dirigerla nelle scorse settimane alla Bayerische Staatsoper di Monaco, e alla regia di Emma Dante, che torna alla Scala dopo 14 anni insieme allo scenografo Carmine Maringola e alla costumista Vanessa Sannino. Hanus dirige cercando di restituire tutte le preziosità melodiche e armoniche della partitura di Dvorák e ci riesce nonostante una predilezione costante per dinamiche intense (tantissimi i forte), che talvolta relegano in secondo piano le voci meno prestanti, come quella del mezzosoprano Okka von der Damerau (Ježibaba) o come quella del soprano Olga Bezsmertna (Rusalka) quando scende ai fiochi registri centrale e grave, salvandosi in acuto con un emissione un po’ troppo spesso gridata e metallica (peccato perché i pochi piani performati non sono male).

Tomáš Hanus dirige rispettando le preziosità armoniche della partitura

NE ESCONO indenni le voci torrenziali del tenore Dmitry Korchak (Principe) e del basso Jongmin Park (Vodník), vere perle dello spettacolo. Prestante anche Elena Guseva (Principessa straniera). Deliziose le ninfe di Hila Fahima, Juliana Grigoryan e Valentina Pluzhnikova.
L’allestimento di Dante, con le luci di Cristian Zucaro e le coreografie di Sandro Maria Campagna, è una festa per gli occhi che restituisce la misteriosa «fiaba psicologica, o meglio psichedelica» della rusalka/sirena (donna nella metà superiore del corpo con tentacoli da medusa/polipo nella metà inferiore, secondo un’iconografia ottocentesca desessualizzante), il cui destino è la mutilazione: per acquistare visibilità e gambe perde la voce. Se il I atto tralascia la magia della fuoriuscita dall’acqua della ninfa e della sua trasformazione in donna, il II atto ammalia con il dramma della ninfa ormai donna privata della voce e per questo tradìta (con un’attrice che raddoppia il soprano) e il III atto inquieta e commuove con lo scontro tra la stregoneria punitiva di Ježibaba, le rampogne di Vodník, l’amore compassionevole di Rusalka e quello redentore del Principe.

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