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Rumoroso come un pesce

Rumoroso come un pesceDanionella cerebrum

Materia oscura Non solo le balene: anche i minuscoli pesciolini del sud-est asiatico «cantano». Una ricerca tedesca prova a capire come facciano a emettere suoni da oltre cento decibel

Pubblicato 8 mesi faEdizione del 1 marzo 2024

Sappiamo ormai molto dei canti di balene e altri cetacei udibili a chilometri di distanza. Li registriamo, li analizziamo e non è escluso che prima o poi riusciremo a decodificarli. I ricercatori del progetto Ceti, per esempio, stanno microfonando il mar dei Caraibi con la speranza di riuscire, un giorno, a parlare con i capodogli. Non stupisce che bestioni da 100 tonnellate producano melodie potenti e piene di significato come arie di un’opera. Cetacei e tenori sono mammiferi dotati di cavità utili per respirare e amplificare i suoni. In più possiedono un cervello sviluppato per comunicare e immagazzinare dati. Quelli muti e smemorati sono i pesci, no?

Nemmeno per sogno: da un po’ gli scienziati sanno che i pesci comunicano anche con i suoni. Anzi, certe volte urlano proprio. Lo conferma uno studio pubblicato sui Proceedings of the National Academies of Science – una delle riviste scientifiche più prestigiose al mondo – dai ricercatori dell’università Charité di Berlino guidati da Benjamin Judkewitz, ma con la dottoranda Verity Cook come prima autrice.
La ricerca ha riguardato la Danionella cerebrum, un pesciolino lungo poco più di un centimetro che popola le acque torbide del Myanmar. Tra tutti i vertebrati conosciuti è ritenuto quello con il cervello più piccolo. Eppure, se lo si ascolta da vicino, può capitare di sentire suoni di intensità superiore a 100 decibel, più o meno la stessa che percepisce un ascoltatore a un concerto rock.
Il pesciolino emette impulsi a frequenze basse ma udibili dall’orecchio umano. Per studiarlo, i ricercatori hanno usato videocamere capaci di riprendere 5000 fotogrammi al secondo, cioè 200 volte più veloci di una normale cinepresa. Le videocamere permettono di osservare cosa succede agli organi interni del pesce, dato che la pelle che ricopre la Danionella cerebrum è trasparente.

In questo modo hanno stabilito che il pesce usa la vescica natatoria, un organo a forma di sacca utilizzato dai pesci per gonfiarsi e muoversi tra il fondo e la superficie, come fosse un tamburo: due cartilagini percuotono la vescica alternativamente sul lato destro e sinistro fino a 120 volte al secondo, producendo suoni grazie a un ingegnoso meccanismo di rilascio elastico analogo a quello di una corda di chitarra pizzicata. «La nostra scoperta – scrivono gli autori dello studio – mette in discussione l’idea che la velocità dei movimenti scheletrici dei vertebrati sia limitata dall’azione muscolare». Lo sforzo fisico è comunque notevole. È reso possibile solo dall’evoluzione dei muscoli del pesce che si sono adattati geneticamente per sviluppare una particolare resistenza alla fatica.
Non è l’unico modo con cui i pesci cosiddetti «soniferi» emettono i loro suoni. Alcune specie sfregano l’una sull’altra le cartilagini – un po’ come digrignare i denti la notte. Altre emettono onde idrodinamiche muovendo le pinne o la coda. Le cinque specie conosciute di Danionella sono tutte dotate dello stesso apparato sonoro. Eppure ognuna batte il ritmo a modo suo, e i ricercatori ora proveranno a scoprire cosa distingue le diverse lingue di questi pesciolini.
I motivi della loro loquacità non sono chiari.
Il fatto che le cartilagini sonore siano presenti solo nei maschi suggerisce che le vocalizzazioni siano legate alla competizione finalizzata all’accoppiamento: nelle buie acque del sud-est asiatico ci si vede poco e forse è meglio puntare sui rumori per segnalare la propria presenza. Ma è solo un’ipotesi. Un giorno forse riusciremo a decifrare i loro messaggi e saranno i pesci stessi a raccontarcelo.

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