«Rsa senza medici e infermieri: serve intervenire subito»
Emergenza Covid Denuncia della Fp Cgil: il personale ha giustamente preferito passare al settore pubblico, ora servono strutture che sappiano gestire anziani infetti
Emergenza Covid Denuncia della Fp Cgil: il personale ha giustamente preferito passare al settore pubblico, ora servono strutture che sappiano gestire anziani infetti
Sono state i luoghi più colpiti durante la prima ondata. Rischiano di esserlo anche nella seconda. Le Rsa, residenze sanitarie assistenziali, ritornano a essere colpite dal Covid-19 e in tante regioni si torna a parlare di contagi e morti: gli anziani sono la categoria più a rischio.
Nello studio dell’Istituto superiore di sanità di giugno si erano certificate ben 3.772 morti nelle Rsa. Al questionario predisposto dall’Iss avevano risposto 1.356 strutture, pari al 41,3% di quelle contattate. Ben 278, ben il 21,1%, hanno dichiarato casi di contagio tra il personale.
La mente va subito al Pio Albergo Trivulzio di Milano. Ma la stragrande maggioranza delle Rsa ha caratteristiche diverse: sono molto più piccole e spesso gestite da istituti religiosi o cooperative di assistenza.
Se molti presidenti hanno già vietato le visite, il rischio di una nuova valanga è dovuto a quanto è successo in questi mesi: A Bologna ci sono stati 40 casi di Covid al Giovanni XXIII, una delle strutture più grandi in città. «La recrudescenza è dovuta principalmente al fatto che gran parte delle Rsa sono prive di personale medico e infermieristico – spiega Michele Vannini, segretario nazionale della Fp Cgil – . Negli scorsi mesi medici e infermieri che hanno dovuto affrontare la prima ondata a mani nude, senza dispositivi e lasciati allo sbando, hanno giustamente deciso di passare, seppur con contratti a tempo determinato, al settore pubblico». Oltre alle ragioni di sicurezza, c’è una evidente differenza salariale e di diritti: «Nelle gran parte delle Rsa i contratti sono della cooperazione sociale o del terzo settore, con stipendi del 30% inferiori rispetto alla sanità pubblica, senza contare ferie, malattia e altre voci che nel settore pubblico sono garantiti».
La carenza di medici e infermieri era già nota a marzo. In un report dell’Istituto superiore di sanità (Iss) si avvertiva della necessità «di garantire laddove siano presenti ospiti Covid-19 sospetti o accertati (anche in attesa di trasferimento) la presenza di infermieri sette giorni su sette H24 e supporto medico – continua Vannini – . A fine settembre l’assessore del Piemonte Icardi, coordinatore della Conferenza delle Regioni stima invece che le Rsa possono assicurare copertura medica e infermieristica solo per 30 minuti al giorno».
Una sproporzione incredibile che mostra come le Rsa rischiano veramente di tornare ad essere luoghi ad altissimo rischio. «L’unica possibile soluzione è la creazione di Rsa Covid – conclude Vannini – se i pazienti in Rsa si positivizzano occorre spostarli immediatamente in strutture idonee dove posso ricevere l’assistenza specializzata». Un modello già adottato, «con buoni risultati», dalla Provincia autonoma di Trento. Invece il grido di dolore cresce da molte regioni: «In Veneto, Emilia-Romagna e Piemonte abbiamo moltissime segnalazioni di casi di Covid e ancor di più di carenza di personale», conclude Vannini.
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