Rosy Bindi: «Lutto nazionale? Non accadde neanche per De Gasperi»
Rosy Bindi – Ansa
Politica

Rosy Bindi: «Lutto nazionale? Non accadde neanche per De Gasperi»

Intervista L'ex presidente del Pd: è stato una personalità molto divisiva, e su temi centrali della vita di una democrazia, come il conflitto di interessi, l’uso padronale del potere e delle istituzioni. Non so se la maggioranza reggerà senza il suo ruolo di collante
Pubblicato più di un anno faEdizione del 14 giugno 2023

Rosy Bindi, ex ministra della Salute ed ex presidente del Pd. Lei è stata la più antiberlusconiana tra i dirigenti della sinistra in Italia.

Non mi piace definirmi “anti” qualcuno. Di certo la mia concezione della vita, della società e della democrazia è sempre stata alternativa a quella di Berlusconi. E non sono d’accordo con chi dice che lui abbia rappresentato l’autobiografia di una nazione. Di una parte dell’Italia, ma non di tutta. Per questo esprimo dubbi sull’opportunità di proclamare il lutto nazionale.

Non era giusto farlo?

Di solito viene proclamato quando ci sono catastrofi naturali con molte vittime, come è successo con l’alluvione in Romagna. Per delle personalità politiche è accaduto, per gli ex presidenti della Repubblica Ciampi e Leone, ma non per dei presidenti del consiglio, neppure per De Gasperi. È una decisione a discrezione del governo.

Meloni non ha avuto dubbi.

Non mi sorprende che questo governo, fondato su una maggioranza forgiata da Berlusconi, che fu il primo a sdoganare i post fascisti, faccia una scelta del genere. Ma non ci si può meravigliare se tanti non sono d’accordo. Il leader di Forza Italia è stato una personalità molto divisiva, e su temi centrali della vita di una democrazia, come il conflitto di interessi, l’uso padronale del potere e delle istituzioni. Non si tratta di una figura amata dalla larga maggioranza degli italiani.

Siamo però di fronte alla scomparsa di un grande protagonista della vita politica.

E infatti esprimo un sentimento di vicinanza alle persone a lui più care, a partire dai figli. Ma sento il dovere di dire che la santificazione cui stiamo assistendo non è corretta. Le sue tv, ma anche la Rai e parte della stampa non stanno offrendo un giudizio obiettivo su una figura che ha segnato l’Italia per trent’anni. Io però non rinuncio a esprimere un giudizio negativo.

Qual è il lascito principale della parabola berlusconiana?

Il conflitto d’interessi permanente che lo ha accompagnato in tutta la sua vicenda politica. E del resto prima di lui non c’erano stati altri leader occidentali con una ricchezza economica e e mediatica di quel tipo. Trump è arrivato molti anni dopo. Non c’è dubbio che la sua discesa in campo sia stata motivata dalla necessità di difendere il suo impero. Venute meno le protezioni politiche che aveva nella prima repubblica è diventato protettore di se stesso. Tra l’altro cavalcando con le sue tv l’azione dei giudici di Mani Pulite, prima di diventare nemico dei pm. Credo che la sua carriera politica fosse preparata da tempo, e ha colto l’occasione con la crisi del pentapartito presentandosi come il nuovo.

Il primo populista?

Senza dubbio. Lui ha dato l’avvio all’identificazione tra leader e popolo.

La riforma maggioritaria che voi avete sostenuto ha favorito la personalizzazione della politica e il leaderismo. Un vestito perfetto per il Cavaliere.

Per lui è stato uno strumento prezioso, soprattutto nel 1994, quando noi Popolari e il Pds non capimmo la nuova elegge elettorale e ci presentammo divisi. C’è voluto Romano Prodi che, con l’Ulivo, ha fatto davvero nascere il bipolarismo e ha dato rappresentanza a quella parte di Italia che era antropologicamente alternativa.

Il Cavaliere ha condizionato la vostra vita politica, forse più di quanto siete disposti ad ammettere.

Certamente ha avuto un ruolo decisivo nella scissione dei Popolari: una parte con Buttiglione scelse di allearsi con il centrodestra e noi con la sinistra. La forza alternativa di quell’Ulivo del 1996 non si è più manifestata. Se ne fossimo stati capaci la destra non si sarebbe consolidata come poi è accaduto. Non si è capito che Berlusconi è stato un fenomeno sociale e culturale prima che politico: un modello di società, un’idea della cosa pubblica, del rapporto col privato, del potere, tra uomini e donne.

Un modello che negli ultimi anni è stato superato dall’evoluzione della società?

Non direi. Forza Italia ha subito un declino anche perché le promesse non sono state realizzate. Ma è rimasta l’idea populista di affidarsi ogni volta a un leader nuovo e salvifico: prima con Grillo, poi Salvini e ora Meloni. Il nostro è un sistema politico che vede fallimenti continui, delusioni e nuove speranze. Con i governi tecnici che ogni tanto arrivano per rimettere in sesto la situazione. La differenza tra il leader di Fi e chi è arrivato dopo: lui puntava sull’ottimismo, gli altri sulle paure.

Cosa succederà a Fi?

Berlusconi non ha eredi e credo che non ne abbia mai voluti. Ci sarà però chi cercherà di impossessarsi del suo bacino di voti: l’unico in pista è Renzi, un altro populista, che non ha mai nascosto di condividere molti temi del centrodestra. La vera domanda però è se questa maggioranza sarà in grado di governare senza di lui.

Ha dei dubbi?

Anche nella fase del declino lui è stato il collante del centrodestra, la sua presenza era fondamentale. Non è scontato che Meloni e Salvini riescano a stare insieme.

Dopo lo scontro in tv del 2009, quando lui la insultò, avete più avuto contatti?

No, non si è mai scusato. Per fortuna è finita lì.

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