Rosalind Russell, the boss
Star Nel panorama hollywoodiano ha rappresentato un modello di donna indipendente
Star Nel panorama hollywoodiano ha rappresentato un modello di donna indipendente
La prima volta che Frederick Brisson vide Rosalind Russell fu nel 1939 durante la traversata Londra-New York a bordo di un transatlantico. Sedici giorni di navigazione e un solo film in cartellone: Donne di George Cukor. Brisson, che condivideva la camera con altri sei uomini, passava la maggior parte delle giornate nel foyer della saletta cinematografica, i dialoghi del film scorrevano senza sosta, finché finalmente entrò stuzzicato dalla voce di Russell. Ammaliato e divertito dalla visione dell’attrice nelle vesti della frizzante Sylvia Mahlinas (Fowler nella versione originale), Brisson esclamò: «O l’ammazzo o la sposo!». E così avvenne, due anni dopo, a seguito di un assiduo corteggiamento rinforzato dall’amico in comune Cary Grant, durante la lavorazione di La signora del venerdì.
Brisson fu l’unico marito di Russell, un matrimonio durato 35 anni fino alla morte di lei e da cui nacque un solo figlio, Lance. La stessa attrice scrive in Life is a Banquet, autobiografia realizzata con Chris Chase (ex modella e protagonista di Il bacio dell’assassino di Stanley Kubrick): «35 anni con lo stesso uomo? E oso autodefinirmi stella del cinema?».
Quarta di sette fratelli, «sono come il prosciutto in mezzo al pane», figlia dell’avvocato James Edward Russell e dell’insegnante Clara McKnight, Rosalind nacque in Connecticut il 4 giugno 1907. Dopo essersi diplomata in recitazione all’American Academy of Dramatic Arts di New York, ha calcato per breve tempo i palcoscenici di Broadway per poi spostarsi a Los Angeles nel 1934. La Universal le offrì un contratto e lo firmò senza indugi, ma poco dopo si accorse di ricevere trattamenti personali «imbarazzanti». Attraverso uno stratagemma riuscì a svincolarsi da Carl Laemmle Jr. ed entrò nella scuderia MGM. Il debutto su grande schermo avviene accanto a Myrna Loy e William Powell in L’amante sconosciuta. Successivamente compare in La donna è mobile (1934, con Joan Crawford e Clark Gable); Sui mari della Cina (1935, con Jean Harlow e Clark Gable); Sotto due bandiere (1936, con Claudette Colbert); La moglie di Craig (1936, per la regia di Dorothy Arzner); La cittadella (1938, di King Vidor, con Robert Donat). Nei film finora citati i ruoli che interpreta sono quasi sempre di secondo piano, competere con Crawford o Harlow era quasi impossibile, come racconta lei stessa: «Alla MGM c’era una prima ondata di nomi, di grossi nomi. Poi ne arrivava una seconda, nel caso che la prima trovasse difficoltà nei ruoli. Ecco, io ero in quest’ultima, subito dietro Myrna Loy».
Ma nel 1939 cambiano le cose. George Cukor sta per realizzare Donne, commedia di Clare Boothe Luce sceneggiata da Anita Loos e Jane Murfin. Russell, che mirava al ruolo della spudorata Sylvia, si precipitò nell’ufficio del produttore Hunt Stromberg: «Perché non mi hai convocata per un provino?», «Sai Roz, tu sei troppo bella per questo personaggio…». Alla fine riuscì a ottenerlo grazie ad alcuni accorgimenti che Cukor le suggerì per limare la parte, come masticare la gomma durante la scena del défilé o accusare le amiche di regalare asciugamani con «volgari ricami cinesi». Fu un’esperienza gradevole, seppur convivessero esclusivamente star femminili sullo stesso set: Norma Shearer, Joan Crawford, Paulette Goddard, Joan Fontaine. La dote di Russell è stata quella di aver creato una figura spassosa dai tratti buffi (espressioni stralunate e azioni grottesche come il morso al polpaccio di Goddard o la sfuriata in cui frantuma piatti e brocche colme d’acqua) «colpevole» unicamente di rubare la scena alla «cerbiatta» Shearer, le cui battute si limitano a: «No, Sylvia», «Oh, vai via Sylvia».
Il successo di Donne spalancò a Russell il successivo impegno, La signora del venerdì di Howard Hawks, rifacimento di The Front Page (1931, di Lewis Milestone), punto focale della screwball comedy. Ed è quanto mai curioso il fatto che l’attrice seppe di essere stata scritturata per la parte di Hildy Johnson dalle pagine del «New York Times». Le candidate iniziali erano Carole Lombard, Ginger Rogers, Irene Dunne e Jean Arthur, tutte impossibilitate. Russell, dall’umore grigio dopo aver letto la notizia, si tuffò in piscina per presentarsi davanti a Hawks con abiti e capelli fradici. Ciò non scompose affatto il regista e le riprese iniziarono nei giorni successivi.
Nel 1941 terminato il contratto settennale con la MGM, Russell iniziò a collaborare liberamente con Columbia, RKO, Warner Bros. e Paramount. Dopo una prima nomination agli Oscar come miglior attrice protagonista per Mia sorella Evelina (1942), e un esaurimento nervoso a seguito della morte di due dei suoi fratelli nel 1943, tra il 1946 e il 1948 Rosalind virò verso registri drammatici: L’angelo del dolore (seconda nomination agli Oscar); La colpa di Janet Ames; Il lutto si addice ad Elettra (forte insuccesso di pubblico, ma le valse la terza nomination); Valeria, l’amante che uccide (tentativo originale di immolarla al rango di femme fatale).
Però, i lavori più fortunati della seconda metà di carriera rimangono Lo scandalo della sua vita (1950, di Edward Buzzell) dimenticata quanto gustosa commedia dai rimandi slapstick – la sequenza del treno in cui Ray Milland si becca una serie di borsettate in faccia o la coreografia di sberle nella redazione del giornale sono ai margini dei Looney Tunes; in Picnic (1955, di Joshua Logan) Rosalind tratteggia la sagoma di una caustica zitella bramosa del corpo di William Holden; La signora mia zia (1958, di Morton DaCosta) ovvero l’orgoglio della sua maturità artistica dove per più di due ore è mattatrice assoluta, tanto che Life is a Banquet si ispira a una battuta di Mame Dennis: «Vivi! La vita è un banchetto e tanti poveri idioti muoiono di fame!», quarta e ultima nomination agli Oscar come miglior attrice protagonista dopo aver impersonato l’eccentrico personaggio – creato da Patrick Dennis – anche a teatro per quasi due anni.
Nel 1973 le viene conferito il premio umanitario «Jean Hersholt» durante la cerimonia degli Academy Awards, consegnatole dall’amico Frank Sinatra. Dopo due mastectomie (nel 1960 e nel 1965), la sconfortante scoperta dell’artrite reumatoide e un intervento all’anca, si spegne il 28 novembre 1976 a Beverly Hills, a causa di un tumore recidivo. «Sarò sempre una damigella, mai una sposa», riferendosi alle mancate vittorie dei precedenti Oscar. Sì, ma una damigella che ci ha folgorato.
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