Italiana di nascita ma berlinese di adozione, Rosa Barba è divenuta una delle artiste che lavorano con le immagini in movimento (in forma filmica e installativa), più interessanti a livello internazionale. La rassegna fiorentina «Lo schermo dell’arte» le dedica una piccola retrospettiva con 5 opere realizzate tra il 2010 e il 2021, inclusa l’anteprima italiana di Inside the Outset: Evoking a Space of Passage, installata ai Cantieri Goldonetta. A margine delle proiezioni vi sarà un incontro con l’artista il 17 novembre alle 15.00 presso l’Accademia di Belle Arti di Firenze. L’immaginario di Barba mescola documentario sperimentale, fiction ma anche elementi performativi, affrontando questioni ambientali, politiche e sociali, esplorando in modo particolare la questione del paesaggio naturale modificato dall’intervento umano.
Il dispositivo filmico (in quanto apparato meccanico e supporto pellicolare) è al centro di diverse sue installazioni in cui il cinema diventa scultura. Oltre ad aver partecipato a diverse biennali, tra cui San Paolo, Sidney e Venezia (nel 2007, 2009 e 2015), Barba ha al suo attivo diverse personali; tra le più recenti ricordiamo quelle al Reina Sofia di Madrid e all’Hangar Bicocca di Milano nel 2017, alla Kunsthall di Brema e al Konsthall di Malmö nel 2018, alla Neue Nationalgalerie di Berlino nel 2021 e a Ljubljana quest’anno.

Credo che l’elemento unificante tutte le tue opere audiovisive è lo spazio, declinato in tutte le sue forme e relazioni.
La mia pratica, da molto tempo, si basa su un intenso approccio concettuale al cinema. Tendo cioè a considerare le immagini in movimento in senso architettonico, per cui l’ambiente (ovvero lo spazio), lo schermo e la proiezione, possono essere combinati insieme o spinti in avanti per creare un altro spazio, che sia appunto «oltre» ed esista nella dimensione interna ed esterna. È uno spazio che filmo con un senso di incertezza e speculazione. Il mio obiettivo è creare un nuovo «auditorium», che consenta un pensiero ampliato, dove emittente e ricevente fluiscano in entrambe le direzioni.

Tu lavori sulla giustapposizione di luoghi e situazioni, spesso distanti e in contrasto tra loro, e da questa alternanza scaturisce una riflessione estetica e concettuale.
Sì, è una giustapposizione di spazi e spesso anche inserti performativi con persone che portano informazioni su quei luoghi, creando una sorta di vibrazione, accompagnandoci in un viaggio che dal cinema ci conduce verso a un altro tipo di forma audiovisiva. Nelle mie opere prendo in esame la possibilità di attivare il subconscio collettivo come metodo artistico per approdare in un ambiente oscillante. L’idea è di esplorare come le peculiarità del cinema, in termini fisici e concettuali, coincidano con gli elementi di altre discipline e aree di indagine.

Fai spesso uso del 16mm e della pellicola (anche se poi riversata in 8K) all’interno del tuo lavoro. Cosa ti interessa e ti attrae di più del formato e del linguaggio analogico rispetto al digitale?
I lavori che vengono editati in formato 8K nascono già su dispositivi digitali ad alta risoluzione. Penso al mio Inside the Outset, dove aveva bisogno di videocamere particolari per filmare a 40 metri sotto il mare o a The Color Out of Space, girato con strumenti per l’astrofotografia. Il materiale filmato che solitamente realizzo io stessa, viene girato su supporto analogico durante lo sviluppo del progetto. Tale materiale è spesso caratterizzato dallo sfarfallio, un metodo per catturare il paesaggio totalmente opposto all’acquisizione di tipo algoritmico.

Come nasce un progetto? Fai più ricerche sul campo per esempio viaggiando, oppure l’idea matura attraverso la lettura di testi e saggi?
Entrambe le cose e spesso queste due componenti si sovrappongono. Faccio anche molte conversazioni con le persone che ruotano intorno a questi luoghi, ma è importante partire dalla letteratura su determinati argomenti, con tutti i pensieri filosofici o socio-politici che ne derivano.

Ci sono artisti o cineasti sperimentali del passato e del presente che ammiri e che ti hanno influenzato?
I miei referenti sono un mix di cineasti italiani come Pasolini, Antonioni e De Seta o esponenti della danza contemporanea come Martha Graham, che ha avuto un ruolo importante fin dalla mia infanzia. Ma vi sono anche cineasti sperimentali statunitensi come Robert Frank e Leslie Thornton.

In quasi tutti i tuoi lavori l’inserimento del «lettering» assume un’importanza decisiva per amplificare e arricchire il livello visivo, lo adotti anche perché i tuoi film sono poco parlati?
Tratto il testo come uno strato indipendente, che funziona come una comprensione incrociata o come un’altra voce che organizza il pensiero, con un ritmo o un tono particolare. I testi scritti all’interno dei miei film non sono stati completamente inseriti nel tema trattato, ma fungono da accento o strato che aggiunge informazioni senza essere integrato. Più che essere visti come un’esplicazione, costituiscono semmai un’attivazione che coesiste parallelamente allo strato visivo e sonoro.

La tua estetica va sicuramente in direzione del documentario, seppure sperimentale, ma hai in previsione di realizzare un lungometraggio narrativo?
Sì, sto lavorando attualmente a un lungometraggio partendo da un archivio filosofico che si trova in Sicilia.

Consideri la tua arte politica?
C’è sempre un’implicazione politica nella mia attività artistica. La mia esplorazione è un processo attraverso il quale suggerisco come potremmo andare oltre un sistema consolidato che vede le cose al posto nostro, giungendo a un altro tipo di sistema in cui diventiamo responsabili in prima persona. Tutti i miei lavori sono alla ricerca del liminale, cioè di spazi che esistono nel nostro mondo ma diventano visibili solo contestando altri spazi. Utilizzo il cinema per far emergere la divisione tra pubblico e privato, fantasia e realtà, aprendo uno spazio nascosto, accessibile mediante l’interazione con la cinecamera e i corpi.

Il fatto di avere origini italiane ha influito sulla tua creatività?
I miei primi film sono stati girati in Italia e hanno gettato le basi per le mie ricerche successive. Le mie origini mi hanno sicuramente influenzato, così come il fatto di essere divisa tra due mondi, rimanendo una eterna viaggiatrice desiderosa.