Da «ROOTS» di Michael Schindhelm
Alias

Roots, artisti nell’isola degli dei

Da «ROOTS» di Michael Schindhelm – courtesy Kulturstiftung Basel H. Geiger KBH.G

Mostra Alla Kulturstiftung Basel H. Geiger | KBH.G di Basilea, fino al 17 novembre

Pubblicato circa 12 ore faEdizione del 19 ottobre 2024

Il ritmo incalzante della pioggia con un accenno di gong, xilofoni di bambù, kemanak, gangsa e altri strumenti del gamelan, attraversa la mostra ROOTS alla Kulturstiftung Basel H. Geiger | KBH.G di Basilea (fino al 17 novembre), tra cultura pop e icone tradizionali. Il tutto sfiorato dal guizzo verde dei campi di riso e dalle coloratissime rappresentazioni di Bhoma, il dio della foresta con i suoi occhi strabuzzanti. Un’introduzione al viaggio iniziatico nel «patrimonio condiviso» di Bali, prima meta turistica a livello globale. Il curatore e regista Michael Schindhelm l’ha concepita come seconda parte del progetto immersivo site-specific Bids for Survival, dedicato al futuro della biologia umana, che ha realizzato appositamente per la fondazione svizzera trasformandola anche architettonicamente.

In quest’ottica Schindhelm, tenendo a bada l’esotismo, analizza la storia postcoloniale dell’Isola degli Dei e l’influenza della cultura moderna occidentale sulle sue tradizioni culturali, concentrandosi sulla questione del turismo di «Bali holiday» e sul ruolo ambiguo dell’arte e della cultura in quanto strumenti per incentivarlo.

La narrazione visiva avviene per momenti diversi in uno slittamento che è anche temporale, attraverso le opere realizzate dagli artisti contemporanei balinesi Made Bayak (1980), pittore, musicista e attivista ambientale e Gus Dark (1982) illustratore e graphic designer che sviscerano le criticità socio-politiche della loro terra, in particolare l’impatto dell’overtourism e le sue drammatiche conseguenze, ma riportando alla memoria anche storie dimenticate come le stragi del 1965-66, quando l’esercito di Suharto assassinò mezzo milione di militanti del partito comunista indonesiano.

Dalla mostra ROOTS, KBH.G Basilea (ph Manuela De Leonardis)

L’esposizione si snoda negli ambienti ispirati a Villa Iseh, il bungalow a due piani a Karangasem che il pittore tedesco di origine russa Walter Spies (Mosca 1895-Indonesia 1942) aveva costruito nel 1937 e che alla sua morte fu preservato dall’artista svizzero Theo Meier. Oggi resort di lusso, dagli anni Sessanta è la destinazione più amata dalle celebrità, tra cui Yoko Ono, David Bowie e Mick Jagger.

Alla figura di Spies è dedicato il cuore della mostra, proprio per il suo fortissimo legame culturale con l’isola. Parzialmente oscurata dalle vicende giudiziarie che lo portarono negli ultimi due anni della sua vita in prigione a Nyawi (Giava) e a Kotjane (Sumatra) con l’accusa di pedofilia, nonché l’epilogo con la tragica morte – nel 1942, in quanto cittadino tedesco nelle Indie Orientali Olandesi, egli fu mandato a Ceylon sulla nave Van Imhoff che il 19 gennaio fu bombardata dai giapponesi e colò a picco con tutti i suoi prigionieri – Walter Spies rimane ancora oggi una figura affascinante e carismatica (così lo descrive anche Paolo Martore nell’articolo «Spies, avventura nei risvolti della kecak» pubblicato su Alias Domenica il 26 settembre 2021).

Formatosi a Berlino – era amico di Oskar Kokoschka, Otto Dix e amante di Friedrich Murnau negli anni in cui lavorava a Nosferatu – è a Bali che egli cambiò radicalmente il suo stile pittorico, assorbendo e restituendo in una personale declinazione naïf magico-realistica l’essenza del paesaggio tropicale, la luce, i corpi dei balinesi in movimento, la ritualità sottesa. Alcuni suoi dipinti sono esposti all’Agung Rai Museum of Art (ARMA) mentre altri sono conservati all’Università di Leida, insieme a lettere e documenti, nei sette metri lineari dell’archivio della Walter Spies Foundation Holland costituita da Hans Rhodius, autore con John Darling del volume Walter Spies and Balinese Art (1980).

Tra l’altro, pur essendo un artista relativamente poco conosciuto, le sue tele sono oggi battute all’asta a cifre notevoli. Negli ultimi sette anni Schindhelm, autore nel 2018 della biografia Walter Spies: Ein exotisches Leben ha realizzato il film docu-fiction ROOTS (2024), proiettato in versione ridotta nello spazio espositivo. Nel mettere a confronto passato e presente, il film si avvale di interessantissime fonti, partendo dalle fotografie di Gregor Krause pubblicate nel libro Bali. People and Art (1922), la cui scoperta avrebbe segnato un momento chiave per Spies, tanto da indurlo nel 1923 a lasciare l’Europa per l’emisfero australe, trasferendosi nel ’27 a Ubud nella «BaliMama».

Dalla mostra ROOTS, KBH.G Basilea (ph Manuela De Leonardis)

Niente divagazioni nostalgiche per il regista tedesco che torna alla nostra contemporaneità intervistando i protagonisti della scena artistica locale, tra cui il musicista Putu Tangkas Adi Hiranmayena che fonde gamelan con improvvisazione e metal, oltre che i membri delle band balinesi punk rock e rap più radicali. Contaminazioni che si estendono all’arte della danza con le performance della danzatrice-antropologa Dewa Ayu Eka Putri: Michael Schindhelm collabora, poi, con il coreografo Wayan Dibai.

Nel ricostruire il profilo biografico di Spies affiora il suo ruolo di promotore della rivalutazione e modernizzazione della danza e del teatro balinese, inventore negli anni ’30 della danza Kecak, ispirata ad un rituale preinduista usato contro la peste, registrata nel film Die Insel der Dämonen (L’Isola dei Demoni), girato nel villaggio balinese di Bedulu nel 1932-33 dal regista tedesco Friedrich Dalsheim con la collaborazione dello stesso Walter Spies e dell’ornitologo ed esploratore Victor von Plessen. Paradossalmente nelle guide turistiche questa danza viene annoverata oggi tra le più antiche dell’isola. Insieme a Beryl de Zoete scrisse anche il libro Dance and Drama in Bali (1938).

Quanto alla sua eredità di pittore, oltre che di musicista e coreografo, è noto che diede vita al Museo di Bali e nel 1936 fu co-fondatore insieme a Rudolf Bonnet, Gusti Nyoman Lempad, Tjokorda Gde Raka Soekawati e Tjokorda Agung Soekawati dell’associazione di artisti balinesi «Pita Maha» attiva tuttora. Certamente negli anni trascorsi a Bali, Walter Spies è stato il portavoce della rara qualità del mix di tradizioni, religione, magia, spiritualità, creatività dell’isola di Bali anche in veste ufficiale di «guida turistica», quando nel 1932 Charlie Chaplin visitò Bali e Giava. Reduce dalle fatiche di Luci della Città, l’attore e regista era in piena crisi personale: di questo viaggio di piacere esotico insieme al fratello Syd, Chaplin ne parla in My Autobiography (1964); scrisse anche delle bozze di sceneggiatura da girare nell’isola.

Nei frammenti di filmati dell’epoca appare felice, immerso, proprio come il pittore tedesco, in un tempo reale e circondato dal sorriso e dalla bellezza all’ennesima potenza.

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