La Romania si è svegliata democratica, europeista e anche un po’ meno ‘corrotta’ dal weekend elettorale. Domenica scorsa è accaduto l’imponderabile, con una partecipazione alle elezioni europee senza precedenti che, di fatto, ha delegittimato l’attuale maggioranza di governo composta dall’ibrido Psd-Alde (socialdemocratici e Alleanza dei liberali e dei democratici), dando il là alle rivendicazioni del centrodestra pronto a subentrare nel caso in cui si decida di procedere con le elezioni anticipate. Come se non bastassero le novità, lunedì è arrivata la sentenza definitiva che ha inviato direttamente in gattabuia il leader dello stesso partito socialdemocratico (e presidente della Camera dei Deputati), Liviu Dragnea, che dovrà scontare 3 anni e 6 mesi per abuso d’ufficio, falso e corruzione per un reato commesso tra il 2007 e il 2008 quando era presidente della Provincia di Teleorman, il suo feudo alle porte della Bulgaria.

Ma andiamo con ordine. La giornata di domenica prevedeva una doppia consultazione elettorale in Romania, quella appunto per il parlamento europeo e quella legata al referendum sulla corruzione, fortemente voluto dal presidente Iohannis che ha rimesso nelle mani dei cittadini il giudizio sulle scellerate riforme del codice penale portate avanti a colpi di ordinanze d’urgenza dal governo proprio per, dicono i malpensanti, salvare la pelle del loro leader. L’affluenza è stata fin dalle prime ore molto buona, per finire oltre le più rosee previsioni al termine della giornata, quando, alla chiusura dei seggi, si è registrata un’affluenza del 49.26 %, oltre il doppio rispetto alla tornata del 2014 (24%). A fronte di una partecipazione così ampia, si sono materializzate le paure della coalizione di governo sull’esito del risultato elettorale. Il Psd ha raccolto il 22.85%, è stato superato ampiamente dal partito Liberale (Pnl) che ha raggiunto quota 26.71% e ha rischiato di finire addirittura come terzo partito, quasi scalzato dal posto d’onore dalla neonata coalizione di centrodestra composta da UsR (Unione Salvati Romania) e Plus (il partito fondato qualche mese fa dall’ex primo ministro Ciolos) che alla sua prima apparizione ufficiale ha raggiunto l’ottimo risultato del 21.49%.

E L’Alde rumeno dell’ex premier Tariceanu? Sepolto sotto un misero 4.1%. E dire che alla conta mancano parecchi voti dei rumeni della diaspora, tantissimi dei quali costretti, causa approssimativa organizzazione dei seggi all’estero (cui ha fatto seguito da parte dell’opposizione la richiesta di dimissioni del ministero degli Esteri, il recidivo Melescanu), a rinunciare al voto. Cosa sarebbe successero se le pratiche di voto fossero state organizzate meglio all’estero, è facile intuirlo e, anche in questo caso, opposizione e opinione pubblica indicano come volute le chilometriche code che si sono formate fuori alle ambasciate di diversi paesi europei.

La pesante sconfitta alle europee che, numeri alla mano, vede dissolvere la maggioranza nonostante il 6.74% raggiunto dal partito dei dissidenti di sinistra, Pro Romania di un altro ex premier, Victor Ponta, è stata accompagnata dalla straripante vittoria dei sì (l’80%) ai due quesiti proposti dal presidente Iohannis: vietare l’amnistia e la grazia per reati legati alla corruzione e votare a favore o contro le ordinanze di urgenza che riguardano i reati penali. Scacco matto alla corruzione e al Psd, il quale non ha fatto nemmeno in tempo a metabolizzare la doppia sconfitta che ha subito un altro pugno in pieno volto. Quello della condanna definitiva del suo leader, Liviu Dragnea, peraltro in attesa di un’altra sentenza definitiva, dopo che al primo appello è stato condannato a due anni di reclusione (motivo per cui dovette rinunciare alla candidatura a primo ministro), sempre per reati legati alla corruzione.

Dragnea era accusato di abuso d’ufficio, falso e corruzione per aver imposto all’istituto di protezione per bambini della provincia di Teleorman, l’assunzione di due donne membre del Psd che, in realtà, in quell’istituto non hanno mai prestato nemmeno un giorno di servizio, ricevendone regolarmente lo stipendio, ma continuando invece a lavorare tranquillamente per il partito. I fatti risalgono al 2008 quando Dragnea, sfruttando la sua posizione di presidente del consiglio provinciale di Teleorman, aveva, secondo l’accusa, imposto questa decisione ai dirigenti dell’istituto. L’ormai ex leader del Partito socialdemocratico aveva fatto appello alla prima sentenza di condanna del 2018, ma senza fortuna. I giudici, infatti, lunedì hanno confermato tutti i capi di accusa e la pena di tre anni e sei mesi con esecuzione immediata. Sconfitto sonoramente alle elezioni e senza il proprio leader (e uomo politico più influente di tutto il paese), il Psd cerca adesso di riorganizzarsi. La premier, Viorica Dancila, ha preso in mano le redini del partito ad interim e ha già fatto sapere che non presenterà le dimissioni da capo dell’Esecutivo. Il presidente Iohannis, invece, spinge quantomeno per un rimpasto anche se l’opzione sulla quale sta lavorando, pressato anche dall’opposizione, è quella della elezioni anticipate sull’esempio greco. Il tutto quando manca ancora un mese pieno al termine del mandato della Romania alla presidenza del consiglio europeo.