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Roma visionaria per Berlioz

Roma visionaria per BerliozUna scena da Benvenuto Cellini – foto Yasuko Kageyama

A teatro La città eterna ritrova con Benvenuto Cellini uno dei tanti operistici che ne celebrano splendori e miserie. Al teatro dell'Opera approda lo spettacolo di Terry Gilliam

Pubblicato più di 8 anni faEdizione del 2 aprile 2016

Roma ritrova con Benvenuto Cellini di Berlioz uno dei tanti titoli operistici che ne celebrano splendori e miserie, in un rinascimento sgargiante e fantasmagorico, filtrato e reinventato attraverso la sensibilità romantica. Grazie alla coproduzione con l’English National Opera e l’Opera di Amsterdam approda nella capitale lo spettacolo di Terry Gilliam, alla sua seconda regia dopo la felice avventura della Damnation de Faust, vista tre stagioni or sono anche a Palermo. Opera visionaria e tutt’altro che perfetta, dalle vicissitudini produttive travagliatissime, Benvenuto Cellini non ha mai avuto vita facile nei teatri: nonostante i saltuari recuperi non è mai riuscito ad entrare nel repertorio come altri titoli di Berlioz.

L’occasione è ghiotta anche se Gilliam, con la fantasia e l’ebulliente carattere che ne pervade storia e metodo creativo, specie al cinema, si è spinto piuttosto in là nella realizzazione di un ibrido fra le diverse versioni dell’opera (l’originale di Parigi, oggetto nel 1838 di un fiasco disastroso, e le riprese di Weimar, su fondamentale impulso di Liszt ). Una realizzazione fortemente spettacolare, che si concentra e esalta il tratto estroso e ipertroficamente romantico del protagonista, immerso in una febbrile atmosfera di avventura carnevalesca.

Lo spettacolo, ad onta di qualche passaggio macchinoso, offre il meglio nella frenetica girandola di personaggi colori e travestimenti (ottimi i mimi e i danzatori), che esplode nella grande scena della farsa di Carnevale a Piazza Colonna e nella finale fusione del Perseo. Del resto cupamente oniriche sono le scene, dello stesso Gilliam e Aaron Marsden, con sfondi ispirati ai disegni e alle prospettive di Piranesi, unico vero punto di contatto con la Roma vagheggiata da Berlioz e dai suoi librettisti con libertà assoluta, spostando anche la fusione del Perseo a Roma e affidarne la commissione a papa Clemente VII Medici invece che al granduca Cosimo I. Pontefice che in questo spettacolo, forse in omaggio all’Eno, dove sono di casa le operette di Gilbert and Sullivan, si fonde con il cardinal Salviati in un bizzarro incrocio fra il Mikado e Turandot, capriccioso monarca ossessionato dalla passione per l’arte (Marco Spotti).

Roberto Abbado, impegnato a dar vita a una partitura ricucita sulle ragioni dello spettacolo, coordina con gusto e solidità le ragioni del canto in palcoscenico con il sovrabbondante materiale musicale che inonda orchestra e coro, mantenendo salda la barra del timone anche nelle scene più complesse, alla ricerca di un nitore e un’asciuttezza antiretorica.

Il cast si costruisce intorno allo svettante Cellini di John Osborn, che tratteggia bene i volti del personaggio, giovane spaccone, artista visionario e ragazzo innamorato. Felici la prova di Mariangela Sicilia (Teresa) e dell’Ascanio di Varduhi Abrahamyan, e ben caratterizzate le parti di Fieramosca ( Alessandro Luongo) e del tesoriere Balducci ( Nicola Ulivieri). Teatro fortunatamente pieno e pubblico festante e divertito. Domani va in scena l’ultima recita.

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