Roma, sul patrimonio indisponibile i 5 Stelle fermi al pre-Covid
Commissione patrimonio Nuovo scontro tra la maggioranza e le associazioni della capitale, che accusano: «Questa modalità di partecipazione è fasulla»
Commissione patrimonio Nuovo scontro tra la maggioranza e le associazioni della capitale, che accusano: «Questa modalità di partecipazione è fasulla»
La commissione patrimonio del comune di Roma è tornata a riunirsi ieri, stavolta in forma digitale. Al centro della discussione la bozza di regolamento sulle concessioni del patrimonio indisponibile, redatta dalla maggioranza 5 Stelle e in particolare dal presidente Francesco Ardu. Dal provvedimento dipende il futuro prossimo di centinaia di associazioni e centri sociali che svolgono le loro attività in immobili pubblici e da cinque anni, cioè dall’approvazione della delibera 140/2015 da parte della giunta di centro-sinistra guidata da Ignazio Marino, sono finite in una situazione di irregolarità. Tra loro ci sono piccole realtà di quartiere e associazioni più conosciute. Come l’asilo interculturale Celio Azzurro (vicino al Circo Massimo) o lo spazio di incontro per bambini con problemi psichiatrici Grande Cocomero (a San Lorenzo), o ancora la scuola di musica popolare di Giovanna Marini (Testaccio) e l’associazione W la Vita Onlus, che si occupa di malati di Sla. E poi i centri sociali: Esc a San Lorenzo, Casale Garibaldi e Casale Falchetti a Centocelle, il Corto Circuito a Cinecittà, l’Intifada a Casalbertone, Astra al Tufello e La Torre tra Casal de’Pazzi e Ponte Mammolo.
LE ULTIME DUE SEDUTE della commissione si sono svolte dal vivo, all’inizio e alla metà di febbraio, nel relativo dipartimento di Roma Capitale. Entrambi gli appuntamenti sono terminati in un clima rovente, con contestazioni del tessuto associativo della capitale contro i rappresentanti pentastellati. Si sperava che questa volta, con un’epidemia che ha cambiato tante carte in tavola, potesse andare diversamente. Ma non è successo. Non è bastata la barriera del digitale a trattenere le dure critiche avanzate da chi chiede il riconoscimento del proprio intervento nel tessuto urbano. Attività culturali, educative, solidali, sportive che vanno avanti anche da 15 o 20 anni e che durante la quarantena si sono riconvertite per sostenere i settori più colpiti a livello sanitario ed economico.
«Non si può riprendere il filo del discorso come se nel mezzo non fosse accaduto nulla – dice Anna Maria Bianchi, presidente dell’associazione Carte in regola – All’inizio della quarantena il Comune ha pubblicato un elenco unico delle realtà cui fare riferimento dove erano inseriti proprio quei centri sociali considerati da sgomberare. L’amministrazione dica se contano più i tavolini dei bar del centro o le realtà che intervengono nei territori che vivono maggiori difficoltà».
ASSOCIAZIONI E SPAZI SOCIALI lamentano l’ambiguità della maggioranza. Da un lato, questa ha fatto affidamento, in maniera spesso formale, sulle risorse economiche e umane di tante realtà che anche durante l’epidemia si sono date da fare nella distribuzione di cibo, farmaci e servizi di sostegno ai settori più fragili della capitale. Dall’altro, continua a non voler ascoltare quel pezzo di Roma e a non tenere in conto le esigenze che manifesta. Come l’impossibilità di pagare i canoni di locazione, anche in forma ridotta, in un periodo di chiusura totale delle pur piccole attività di autofinanziamento.
«Abbiamo fatto di tutto: pacchi alimentari, assistenza nella compilazione dei moduli, sportelli psicologici e legali – dice Alessandro Torti, di Esc Atelier – Gli immobili del patrimonio pubblico potevano essere una risorsa per affrontare la crisi, ma questo è successo solo dove c’erano già realtà sociali che avevano un lavoro consolidato. Chiediamo di tenere conto di questa situazione straordinaria, cambiare strategia e intanto votare una misura transitoria che metta al sicuro una parte di città così importante. Soprattutto in momenti come questo».
PER ARDU e gli altri consiglieri della maggioranza, però, il nodo della questione non è la difesa di chi garantisce anche a livello informale (e gratuito per le istituzioni) un pezzo di welfare metropolitano. Il punto decisivo sono le procedure, la formalità delle assegnazioni e la definizione di regole che garantirebbero la trasparenza. «La domanda al centro di questo tavolo è: quando ci sono immobili che non sono assegnati formalmente o quando la concessione è scaduta, come si fanno ad attribuire a una realtà sociale X o Y?», chiede Ardu. Con un «procedimento snello di evidenza pubblica», afferma il presidente della commissione.
È questo uno dei principali punti di scontro tra maggioranza e associazioni, secondo cui gli immobili del patrimonio indisponibile al cui interno si svolgono attività sociali consolidate e riconosciute non dovrebbero essere messi a bando ma assegnati direttamente. Il rischio, sostengono, è di mettere queste realtà in concorrenza tra loro senza un motivo giustificato, visto che il patrimonio indisponibile capitolino è enorme e una gran parte versa in condizione di totale abbandono.
DEL RESTO QUELLA DEL BANDO non è l’unica strada percorribile. «Basterebbe applicare le norme già esistenti, il regolamento del 1983 e la delibera 26 del 1995, che prevedono un’istruttoria da parte degli uffici e un voto da parte dell’assemblea capitolina: cosa c’è di più trasparente?», sostiene Claudio Giangiacomo, avvocato che ha seguito molte delle associazioni nelle cause contro i provvedimenti di sgombero. Una sentenza del Tar del Lazio di inizio marzo, infatti, ha riconosciuto che la delibera 140 non poteva bloccare in toto i procedimenti di assegnazione e di rinnovo delle concessioni e che pertanto la normativa precedente era ed è ancora in vigore.
«C’è o non c’è la disponibilità a fare le revisioni richieste da più parti? – chiede il consigliere di Sinistra per Roma Stefano Fassina – È vero che questa è la quinta commissione, ma in mezzo c’è stato un evento epocale». Nel corso della discussione, però, questa disponibilità non emerge. Così lo scontro si avvita proprio intorno al tema della partecipazione.
GIÀ DALLE PRIME sedute pubbliche, le associazioni avevano criticato la modalità di discussione del regolamento, aperta solo dopo che la maggioranza aveva redatto, protocollato e spedito ai municipi la bozza di testo. Ancora una volta uno dei temi bandiera del Movimento 5 Stelle ha creato malumori tra i cittadini. «Questa “partecipazione” è fasulla – dice Serena Fredda, di Esc Atelier – Qualsiasi cosa diciamo ci viene risposto: “ci sono tante opinioni, ma la maggioranza la pensa così”. Un’amministrazione seria dovrebbe stringere alleanze con la parte di città che sta provando a contenere con le mani la crisi economica e i rischi di infiltrazioni criminali, invece voi ci fate la guerra».
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