Commenti

Roma, a sinistra l’indignazione è effimera

Roma, a sinistra l’indignazione è effimera

Democrazia capitale Da quando è iniziato il caso Marino ricevo telefonate e messaggi, da compagni e amici, il cui contenuto è pressappoco questo: «Facciamo qualcosa, non possiamo assistere alla morte della democrazia». […]

Pubblicato quasi 9 anni faEdizione del 4 novembre 2015

Da quando è iniziato il caso Marino ricevo telefonate e messaggi, da compagni e amici, il cui contenuto è pressappoco questo: «Facciamo qualcosa, non possiamo assistere alla morte della democrazia». Ma questo sentimento autentico di malcontento, o di disagio, o di frustrazione, non arriva oltre una sana quanto legittima indignazione «trasformando la spontaneità in organizzazione, la folla in massa cosciente, il dissenso in proposta politica alternativa», come ha ben scritto Angelo D’orsi (il manifesto, 1 novembre).

Essa, quando c’è – e non sempre c’è – appare un fuoco di paglia, una levata di scudi senza alcun esito politico. Tant’è che molti di questi compagni e amici, finiti i clamori dello scandalo, tornano quasi subito alle loro occupazioni quotidiane (come se le sconfitte non pesassero, o fossimo ormai abituati ad esse come a un fenomeno naturale).

Al netto dei tanti errori di Marino (sui quali è inutile tornare), resta il fatto che la persona-sindaco Marino è stata letteralmente massacrata nella sua dignità di persona e destituita di ogni ragione politica, da cui l’indignazione feroce, e purtroppo effimera, di tante persone. Di fronte a questi tragici (nel senso di tragedia greca) fatti a me vengono in mente le parole di Ingrao, scritte nel libro di Goffredo Bettini (Un sentimento tenace, Imprimatur): «Io sento penosamente la sofferenza altrui: dei più deboli, o più esattamente dei più offesi. Ma la sento perché pesa a me: per così dire, mi dà fastidio, mi fa star male. Quindi, in un certo senso, non è un agire per gli altri: è un agire per me. Perché alcune sofferenze degli altri mi sono insopportabili. Questo episodio può dire la ragione per cui io rimango incollato alla politica, persino sotto l’aspetto tattico. Non sono sicuro che ciò si possa rappresentare come una motivazione morale. C’entrano gli “altri”, in quanto la loro condizione mi “turba”, e senza gli “altri” non esisto (nemmeno sarei nato)».

C’è, in quelle parole, il senso vero della politica. Forse le persone (di sinistra) non soffrono più il dolore guardando le ingiustizie, i soprusi, lo scardinamento delle regole, l’abuso di potere, l’ineguaglianza sociale, la sofferenza dei poveri e degli oppressi, come ad esempio, nel caso degli immigrati. La politica (anche quella buona) oggi ci invita semmai a guardare oltre: come ricostruire un’unità a sinistra, come contrastare o battere l’avversario di turno. Detto in altri termini, le persone sembrano contare assai poco. Ma davvero siamo sicuri che non bisognerebbe invece fare un passo indietro e riconsiderare quel senso di indignazione e di radicalità profonda contenuta nelle parole di Ingrao che possono apparire ai professionisti della politica, motivazioni personali e perfino moralistiche?

Le alchimie politiche per dare vita a nuovi soggetti, o a un nuovo soggetto della politica o a nuove formazioni, si sono tutte sempre sgretolate nell’arco di pochi mesi dalla loro nascita e tanto più si moltiplicano, tanto più esponenzialmente si dissolvono. Forse non è la strada giusta, forse non siamo pazienti, forse non siamo così decisamente convinti che questo non è il migliore dei mondi, forse l’ingiustizia ai danni degli altri non ci provoca quella sofferenza di cui parlava Ingrao, forse c’è qualcosa che ancora non riusciamo a capire e ad elaborare politicamente. Se tante persone si sono recate a vedere l’Expo partendo da paesi lontani, sacrificandosi a file interminabili per assistere a qualche fotografia o a qualche documentario che potevano tranquillamente essere consumati a casa propria davanti alla Tv, qualche motivo ci sarà pure.

orza e potere dei mass-media, dirà qualcuno, ma non basta a spiegare il movimento di oltre 20 milioni di visitatori in fila, quando a protestare per la defenestrazione del Sindaco, sulla piazza del Campidoglio, non ce n’era più di qualche migliaio.
In questo tocchiamo con mano la potenza dell’egemonia del capitale e dei poteri forti. Un’egemonia che disincanta alcuni e che conduce altri sulla strada della rivolta populista contro un sistema che ormai non tutela i più svantaggiati e che offre spettacoli effimeri a quel ceto medio che crede ancora di poter conservare i vecchi privilegi. Chi ha cuore e capacità di pensare una nuova sinistra deve ripartire da una revisione profonda di alcune categorie storiche come, ad esempio, quella diventata astratta e generica di popolo, frantumato, quest’ultimo, in un ventaglio ampio di nuovi ceti sfruttati a vario titolo. Il riferimento deve essere alla persona offrendole la possibilità di emanciparsi e di capire come le sue esigenze possono convivere e anzi acquistare senso solo se messe a confronto con quelle dell’altro. Perché spesso accade, quando si tenta di creare una nuovo formazione politica, che la persona venga inevitabilmente oscurata in nome di vecchie strategie e astute tattiche che producono ulteriore disaffezione e disincanto. Anche se non soffia più il vento della storia, come afferma Cassano, si può andare a remi, se però si conosce la rotta e si ha la pazienza di remare e di stare insieme sulla stessa barca.

I consigli di mema

Gli articoli dall'Archivio per approfondire questo argomento