Rom, l’unica strada possibile è l’inclusione
Facciamo un patto: se prometti di fare il bravo mamma e papà ti comprano il motorino. È grosso modo questa, a quanto si legge, la strategia per la chiusura dei […]
Facciamo un patto: se prometti di fare il bravo mamma e papà ti comprano il motorino. È grosso modo questa, a quanto si legge, la strategia per la chiusura dei […]
Facciamo un patto: se prometti di fare il bravo mamma e papà ti comprano il motorino. È grosso modo questa, a quanto si legge, la strategia per la chiusura dei campi rom concordata dai sindaci dei comuni italiani col ministro Alfano: una strategia che subordina l’erogazione di servizi alternativi all’accoglienza nei campi, e in particolare le soluzioni di carattere abitativo, alla sottoscrizione di «patti» con cui i destinatari di quei servizi dovranno impegnarsi a tenere comportamenti conformi alla legalità. Promettete di comportarvi bene, insomma, e noi vi troviamo una casa.
Mettendo da parte per qualche istante le pur intriganti implicazioni giuridiche di simili accordi (quale valore legale potrebbe mai avere l’impegno a non delinquere scritto su un pezzo di carta?), l’angosciosa domanda che sorge spontanea è: e tutti gli altri? Cioè, per quale ragione i rom dovrebbero impegnarsi alla legalità per ottenere dei servizi dai comuni, mentre un adempimento analogo non è previsto per il resto dei cittadini? Non è che così congegnata l’iniziativa sarebbe un tantino discriminatoria, e in quanto tale passibile di richiami e sanzioni da parte dell’Unione Europea?Perché, per dirla tutta, a Strasburgo hanno già avuto da ridire sul modo in cui il nostro paese ha affrontato per decenni la questione rom: e, come si dice, aggiungere altra carne al fuoco non sarebbe esattamente il massimo.
Il punto, in realtà, è che alla legalità dovrebbero impegnarsi in primo luogo i sindaci, implementando – una buona volta – i percorsi di inclusione già delineati nella strategia nazionale di inclusione adottata nel 2012 dal governo Monti in ossequio alle indicazioni europee: al di là della fantasiosa stipula di contratti concepiti ad hoc su base etnica, che sul piano del diritto appaiono assai discutibili, per usare un eufemismo. Percorsi di inclusione personalizzati e monitorati, con tempi certi e tappe stabilite, come quelli che a Roma vengono chiesti dalle delibere di iniziativa popolare della campagna «accogliamoci.it», promossa da Radicali Roma insieme a realtà come Associazione 21 luglio, A buon diritto, Arci, Cild, Possibile, Un ponte per, Zalab e Asgi: percorsi che hanno risolto efficacemente il problema in altri paesi europei e che sarebbe possibile attivare cominciando a riconvertire le risorse (soltanto a Roma 25 milioni l’anno) sin qui sperperate nella disastrosa politica dei campi; monitoraggi che sono ormai ineludibili non soltanto nel caso dei rom, ma anche per sanare l’altra piaga aperta dei centri di accoglienza a richiedenti asilo e rifugiati.
Soluzioni praticabili, se solo ci si degnasse di uscire dalla retorica logora dei rom che rubano, chiedono l’elemosina e non mandano i figli a scuola. Se solo si abbandonasse la tentazione di dare in pasto all’opinione pubblica l’ennesimo proclama demagogico sperando di racimolare qualche voto in più: e ci si decidesse, finalmente, ad affrontare la questione in tutta la sua complessità.
* segretario Radicali Roma
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