Roland Topor e l’intensa inquietudine del narrare
SCAFFALE «La principessa Angina», edito da Cliquot, a cura di Carlo Mazza Galanti, con i disegni dell’autore
SCAFFALE «La principessa Angina», edito da Cliquot, a cura di Carlo Mazza Galanti, con i disegni dell’autore
Roland Topor scrittore è tornato all’attenzione in Italia dopo qualche anno di assenza, con una serie di titoli di rilievo. Bompiani ha rimandato in libreria il classico L’inquilino del terzo piano, nel 2021, da cui è tratto il film omonimo di Roman Polanski, mentre Voland nel 2013 ha presentato l’esilarante Taccuino di un vecchio cialtrone, in cui il vanto e la mitobiografia si fondono in un dettato delirante, per cui il narratore già dall’infanzia è dotato di ogni virtù artistica, e: «a cinque anni disegnava ritratti degli amichetti più belli delle fotografie di Lewis Carroll». Quel volume era a cura di Carlo Mazza Galanti, assai appassionato dell’autore, che ora arriva alle stampe come curatore da Cliquot con La principessa Angina (traduzione efficace di Federico Musardo e Lucrezia Pei, con disegni di Roland Topor, pp. 200, euro 22).
IL ROMANZO, uscito nel 1967, era giunto in Italia già nel 1969 proposto dalla benemerita Milanolibri, nella versione di Laura Maltini. Topor nel momento in cui inizia un’attività di scrittore in proprio, ha alle spalle l’esperienza del Gruppo Panico, realizzata insieme a Fernando Arrabal e Alejandro Jodorowski, che qui risuona per temi e ritmi. Fedele a quella linea di espressione, l’autore appone un’avvertenza che mette in guardia il lettore dal credere troppo all’esistenza del personaggio del titolo, e più in generale dell’intera struttura della narrazione, come già accadeva nei precedenti Una fata speciale e ne Il bambino solo. «Non è facile raffigurare personaggi che non si sa bene se siano bambine o malattie. Per disperazione, l’illustratore ha scelto di rappresentare l’enigma stesso invece di darne una soluzione personale. Proprio per questo ha deciso di assemblare immagini ampiamente ispirate ai rebus dell’Ottocento, in particolare quelli di Maurisset». Seguendo una genealogia chiara che va dalla amatissima Alice (e in specie nella sua avventura Attraverso lo specchio), alla araldica rivisitata di Alfred Jarry (che è modello per attribuzioni nobiliari tanto strampalate quanto ribadite a ogni piè sospinto), fino a Zazie nel metrò di Raymond Queneau, uscito nel 1959 e portato al cinema nel 1960 da Louis Malle.
«ANGINA», dispotica signora di un reame in pericolo, si aggira nell’instabile territorio del suo regno, su un furgone a forma di elefante. Con lei è il suo paladino, il duca di Vitamine, barbonesco poeta, che si dedica al bere, e un giovane malcapitato, Jonathan, che viene messo sotto dal veicolo e cooptato in un viaggio che in primo luogo annulla ogni senso, sottoponendo il testimone di questa stravagante quête a salti mortali per comprendere il significato di azioni sempre più inconsulte.
Le illustrazioni si stemperano nel testo, che da parte sua si orienta a diventare fatto grafico, tra distese di sostantivi ripetuti, cruciverba, diari della principessa e ogni possibile forma di inceppo alla narrazione in quanto tale, che continuamente è interrotta e ripresa con lampi di humour nero e inarrestabili avventure verbali.
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