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Rohani favorito ma Trump già lo sfida con la Nato araba

Rohani favorito ma Trump già lo sfida con la Nato araba

Presidenziali iraniane Il presidente uscente è vicino ad ottenere un nuovo mandato nonostante gli insuccessi economici. Gli Usa per ora rispettano l'accordo sul nucleare ma l'Amministrazione Trump pensa a come mettere subito sotto pressione Tehran

Pubblicato più di 7 anni faEdizione del 19 maggio 2017

L’Iran oggi è chiamato a eleggere il nuovo presidente. Il favorito è il capo dello stato uscente Hassan Rohani, riformista e protagonista dell’accordo sul nucleare iraniano siglato nel 2015, che torna a candidarsi in contrapposizione al conservatore Ebrahim Raisi. I risultati definitivi si conosceranno domani. Vincerà chi otterrà la maggioranza dei voti ma se nel primo turno nessun candidato avrà una maggioranza superiore al 50% si svolgerà un ballottaggio venerdì prossimo tra i due candidati con più voti al primo turno. Al Consiglio dei Guardiani della Rivoluzione islamica spetterà la validazione dei risultati elettorali e la valutazione di eventuali reclami. Le elezioni sono divenute una corsa a due dopo che l’altro candidato conservatore, il sindaco di Teheran Mohammad Bagher Ghalibaf, lunedì si è chiamato fuori invitando i suoi supporter di votare Raisi. Il campo si è ristretto ulteriormente il giorno seguente quando il vice presidente riformista Eshaq Jahangiri si è ritirato per favorire il presidente uscente.

Rohani, anche lui un religioso come Raisi, ha cercato di inquadrare le elezioni come una scelta tra maggiori libertà civili e radicalismo politico. I sondaggi ieri lo davano ancora per favorito. Tuttavia nelle ultime settimane Rohani ha affrontato una campagna molto più dura di quanto si pensava solo due mesi fa. I conservatori che lo accusano di aver fatto molto poco per combattere la povertà e la disoccupazione e, in definitiva, di non aver mantenuto le promesse di crescita economica a doppia cifra (nel 2016 è stata del 7,4%), di lavoro per i giovani e di investimenti produttivi fatte dopo la firma dell’accordo sul nucleare. I frutti di quell’intesa, fortemente voluta da Rohani e anche dall’ex presidente Usa Barack Obama, non ancora si sono visti. Raisi ha accusato il presidente uscente di aver fatto troppe concessioni agli occidentali senza ottenere in cambio reali benefici economici. Se la produzione e l’esportazione del greggio è ripresa e il Paese ha potuto rimettere a posto le sue finanze dissestate dopo anni di sanzioni economiche, dall’altro l’Iran è ancora escluso dal sistema bancario internazionale e di conseguenza non è in grado di firmare nuovi accordi commerciali con l’Asia e l’Occidente. Rohani chiede più tempo agli iraniani ma Raisi lo incalza sul fallimento della sua linea di dialogo e di apertura al mondo occidentale che, a suo dire, non avrebbe alcuna intenzione di mettere fine all’isolamento dell’Iran. Il candidato conservatore ha puntato con forza sui punti deboli di Rohani sottolineando il malcontento dei giovani e il caso dei minatori nel Golestan hanno contestato il presidente per la mancanza di sufficiente sicurezza sui posti di lavoro e per gli stipendi pagati male e in ritardo.

A dare una mano al presidente uscente è stata l’Amministrazione Trump che, pur essendo dominata da un forte sentimento anti-iraniano, ha confermato l’accordo sul nucleare nonostante l’approvazione di nuove sanzioni americane sul suo programma missilistico e ha abrogato le sanzioni legate al programma nucleare nonostante le sue critiche all’accordo. Questa settimana la Casa Bianca ha confermato l’abolizione per un periodo di 120 giorni delle sanzioni sugli acquisti di petrolio attraverso la banca centrale iraniana. A giugno Trump dovrà abolire altre sanzioni se vuole mantenere l’accordo sul nucleare. Un sollievo per Rohani che, forse, si è garantito la rielezione. Ma la battaglia per la fine del boicottaggio statunitense dell’Iran è tutt’altro che vinta e restano avvolte nel mistero le vere intenzioni dell’Amministrazione Trump, molto condizionata dalle posizioni di Israele, sul programma nucleare di Tehran.

Domani e domenica Trump sarà in Arabia Saudita per il suo primo viaggio fuori dagli Usa dal suo insediamento alla Casa Bianca. A Riyadh il tycoon svelerà il suo piano per quella che viene descritta come la “Nato araba”, per guidare la lotta al terrorismo e fare muro proprio contro l’Iran. Le scriveva qualche giorno fa il Washington Post. Piano che assegna un ruolo centrale all’Arabia Saudita, la principale avversaria di Tehran nella regione assieme a Israele. A metterlo su carta, almeno all’inizio, sono stati Jared Kushner, genero e consigliere del presidente americano, e il vice principe ereditario saudita Mohammed bin Salam protagonista a inizio mese di dichiarazioni particolarmente bellicose nei confronti dell’Iran. Trump nei prossimi due giorni potrebbe annunciare di uno dei maggiori accordi sulla vendita di armi a Riyadh mai visto fin qui e, allo stesso tempo, delineare i principi fondamentali di una coalizione di Paesi sunniti, alleati stretti degli Stati Uniti, con caratteristiche organizzative simili a quelle della Nato. Una sfida che Rohani, probabile vincitore delle presidenziali, dovrà affrontare molto presto.

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