Una piccola svolta nella lotta – giudiziaria – contro le morti sul lavoro. La procura di Perugia ha comunicato la «conclusione indagini» ai cinque titolari dell’impresa che produceva cannabis legale indagati per la morte di due lavoratori che il 7 maggio di un anno fa a Gubbio coinvolti nello scoppio di un laboratorio. Le immagini dello scoppio che distrusse la casa colonica che la ospitavano facevano impressione. Ora i magistrati, guidati dal procuratore capo Carlo Cantone e dalla sua sostituta Gemma Miliani, hanno stabilito che lo scoppio fu dovuto a dolo grave.

È la seconda volta che per un omicidio sul lavoro si richiama questo tipo di reato al posto della colpa: la prima fu per il rogo della Thyssen Krupp a Torino con il pm Guariniello. Secondo i magistrati l’utilizzo di un solvente «altamente infiammabile» come il pentano e di lavatrici a ultrasuoni innescò un incendio e un’esplosione tali da devastare lo stabile e uccidere due dipendenti, Samuel Cuffaro, 19 anni, e Elisabetta D’Innocenti, 52, nonché provocare il ferimento di altri due dipendenti. Per questo sono stati contestati loro i reati di omissione dolosa di cautele per la prevenzione degli infortuni sul lavoro, di incendio doloso ma soprattutto di omicidio doloso e lesione dolose.

Per il consulente tecnico del pm, la lavorazione era «oggettivamente pericolosa» perché prevedeva che un solvente infiammabile venisse immesso in lavatrici ad ultrasuoni, che si surriscaldavano rapidamente generando un «enorme» rischio di incendio.

Naturalmente si tratta di pene molto più alte rispetto ai reati colposi: i responsabili rischiano oltre 20 anni di carcere.
Gli indagati sono però anche accusati della violazione della legge sugli stupefacenti. La Procura ritiene infatti che l’attività di «manipolazione» svolta per conto di altri non fosse consentita. Il laboratorio è risultato riconducibile a due società che si occupavano una della «coltivazione di piante aromatiche e farmaceutiche» e l’altra del «commercio all’ingrosso di fiori e piante» con la stessa sede legale e «soggettivamente collegate».

Da subito venne ipotizzato che l’incendio si fosse verificato in conseguenza della tecnica di abbattimento della percentuale del Thc della cannabis, «inventata» da uno dei soci. Al primo piano erano state collocate «lavatrici» a ultrasuoni nelle quali venivano introdotte le infiorescenze di canapa e il pentano. Con il «lavaggio» il livello di principio attivo risultava sotto allo 0,6% e quindi la cannabis poteva essere qualificata come light.