Rogi André, l’erotica dei fluidi
Cristalli liquidi Una fotografa a Parigi negli anni trenta...
Rogi André, alias Rosza Klein (1900-’70), artista ungherese trasferitasi a Parigi a venticinque anni, scopre la fotografia grazie a un altro esiliato ungherese, suo vicino di casa e futuro marito, André Kertesz. Una coincidenza sorprendente se pensiamo che, terminata la relazione durata appena due anni, si trasferisce da Montparnasse a Porte d’Orléans, poco più a sud, dove ha come vicine altre due fotografe, Florence Henri e Ilse Bing. Attratta dall’atmosfera bohémien della città e in particolare dall’ambiente surrealista, fotografa nudi femminili pubblicati regolarmente su riviste prima di ritrarre, a partire dagli anni trenta, artisti e scrittori che vivevano o passavano per la capitale francese.
Nella lista impressionante di nomi, che prenderebbe più delle due colonne di questa rubrica, non poteva mancare André Breton. Nel 1935 pubblica una delle sue foto in un articolo su «Minotaure» (La Nuit du tournesol) che diventerà il quarto capitolo de L’Amour fou (1937), un romanzo con venti foto in bianco e nero di artisti gravitanti nella sua cerchia surrealista del calibro di Man Ray e Brassaï. Ultimo volet di una trilogia che comprende Nadja (1928) e Les vases comunicants (1932), l’autore racconta un evento intimo che cambierà la sua esistenza: l’incontro con Jacqueline Lamba. Frequentando nel 1934 Le Coliseum, un locale notturno di Montmartre, assiste rapito a un numero di music-hall, uno spettacolo acquatico in cui Lamba nuota nuda all’interno di una sorta di vasca, «danzando nell’acqua e tracciando delle volute sinuose col suo corpo». L’air de danser sous l’eau o l’andatura femminile come nuoto e non come danza: così Breton corregge l’intuizione di Baudelaire.
Agli occhi di Breton, il numero acquatico incarna quella bellezza convulsiva su cui stava lavorando. Anche di questo, immagino, discute quando, in una notte di fine maggio, cammina con Lamba da Montmartre al Quartiere latino e s’innamora. La ballerina e pittrice surrealista (una biografia di Alba Romano Pace ha ricostruito nei dettagli la sua carriera artistica tra Francia e Stati Uniti) diventerà presto la sua seconda moglie, madre di Aube, sua unica figlia. Agli occhi di Breton, Lamba si trasforma in una creatura marina, in una ninfa o, per servirsi del paragone bretoniano, in un’ondina, forse un riferimento velato a Faustine, protagonista di Locus solus di Raymond Roussel, che nuota in un diamante. Sebbene non manchi di cogliere ironicamente il doppio senso della parola, dove «on dîne» sta per un più prosaico «si mangia».
Breton porta diversi amici ad ammirare il numero di Lamba e possiamo speculare a lungo su chi frequentava Le Coliseum, data l’ossessione surrealista per il milieu acquatico: esplorato nei film di Jean Painlevé, nei collage di Max Ernst, nei passages di Louis Aragon, in Dream of Venus di Dalí… Ma presente già nell’allucinante immagine del salotto in fondo al lago di Rimbaud. Del resto il fotografo Allan Sekula sosteneva che il surrealismo è stato «l’ultimo movimento estetico a rivendicare il mare con una certa solennità».
Un’erotica dei fluidi, per riprendere l’espressione di Didi-Huberman (Ninfa fluida), che costituisce il cuore della rêverie surrealista. Decisivo resta il contributo di Rogi André, artista presto dimenticata, che non si limita qui a illustrare il rapimento amoroso di Breton. Nei suoi cliché, con degli obiettivi modificati da Kertesz e con l’uso di uno specchio (difficile ottenere informazioni più precise), Lamba appare trasfigurata: essere ibrido, metà-donna e metà-pesce, il suo corpo diventa lattiginoso se non fantomatico grazie all’illuminazione notturna della vasca. La sua danza sottomarina è onirica quanto sensuale, e ha la stessa sostanza dei sogni e dei desideri.
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