Visioni

Rodrigo Amado, melodia dell’improvvisazione

Rodrigo Amado, melodia dell’improvvisazioneAmado e i The Bridge al Centro d’Arte – foto di Tommaso Saccarola

Musica Il sassofonista lisboeta dal vivo al Centro d'Arte di Padova, nel suo gruppo The Bridge anche il pianista tedesco Alex von Schlippenbach, caposcuola dell’improvvisazione radicale europea

Pubblicato 10 mesi faEdizione del 3 dicembre 2023

Benché non giovane – 59 anni – il sassofonista Rodrigo Amado non ha ancora raggiunto una grossa notorietà fra chi segue il jazz di ricerca, ma si è costruito una solida reputazione nell’ambiente dell’avanguardia sulle due sponde dell’oceano; lisboeta di nascita e residenza, animatore di formazioni del più avanzato jazz portoghese, già da anni incide con valenti protagonisti della scena d’oltre Atlantico (Joe McPhee, Taylor Ho Bynum…) in album a proprio nome o cointestati, ma in un certo senso può ancora essere considerato un emergente: di certo un musicista da seguire con attenzione. La sua fisionomia stilistica propone un mix molto originale: come sax tenore (ma padroneggia anche altri strumenti della gamma dei sax) proviene da una linea in cui non si stenta a riconoscere Sonny Rollins, e a questo si aggiunge un aspetto free, in cui l’impronta del free jazz afroamericano sembra prevalere sulla lezione dell’improvvisazione europea.

Amado si colloca decisamente sul piano di una espressione avanzata e innovativa, ma senza abbandonarsi al free a briglia sciolta, né dare troppo spazio a parossismi e spigolosità «radicali»: il free è un elemento misurato in una poetica equilibrata che una robusta rielaborazione del linguaggio storico del sax tenore tiene legata ad una dimensione abbondantemente «jazzistica» in senso proprio. Non senza nell’improvvisazione una forte propensione melodica, e anche questo evoca Rollins. Lo richiama anche il nome del quartetto con cui Amado ha inciso l’album Beyond the Margins e che per la rassegna del Centro d’Arte ha portato alla Sala dei Giganti: The Bridge, titolo di un celebre album di Rollins.

MA È SOLO un omaggio, non si pensi ad una rivisitazione, la musica del gruppo, in cui si incontrano percorsi e generazioni diverse, è del tutto autonoma: curvato dalla vecchiaia ma non domo, il pianista tedesco Alex von Schlippenbach, 85 anni, è stato uno dei capiscuola assoluti dell’improvvisazione radicale europea; 68 anni, il batterista americano – e da tempo residente in Svizzera – Gerry Hemingway si è messo in luce in ambito post-free, in particolare fra anni ‘80 e ‘90 accanto a Braxton; il contrabbassista norvegese Ingebrigt Haker Flaten, 52 anni, si è distinto in formazioni di culto, ruvide e di impatto dell’avanguardia di oggi come The Thing e Atomic. Schlippenbach suona in maniera libera, ma senza intemperanze, attento alla logica d’insieme: ha sempre un gran tocco ed è intenso e lirico in qualche momento in cui emerge solisticamente; Hemingway è dinamico e sottile, elegante e aereo; Haker Flaten è vigoroso, ma anche sensibile ad aspetti melodici; spesso in improvvisazioni pensose, Amado suona con una articolazione nitida, all’interno di una musica in cui non mancano momenti più accesi, ma che in generale è piuttosto spaziata e non concitata. Con motivi di interesse continui, un unico flusso senza soluzione di continuità, seguito senza fatica dal pubblico, dopo un’ora e un quarto calorosissimo e con speciale affetto per Schlippenbach.

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