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Rockstar vs stampa, il veleno tra le righe

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Storie/Tredici canzoni dedicate a giornalisti e testate Spesso celebrati, altre volte presi di mira, sono molti i cronisti e i critici musicali citati all’interno di brani più o meno noti. Dal Mr. Jones di Bob Dylan e Ben Folds al Bertoncelli di Guccini. «Chi si occupa di rock è gente che non sa scrivere che intervista gente che non sa parlare, per gente che non sa leggere» (Frank Zappa)

Pubblicato quasi 10 anni faEdizione del 13 dicembre 2014

Giornalisti razza dannata. Gli artisti pop e rock hanno sempre avuto una certa avversione nei confronti di carta stampata e media in genere. Il primo loro bersaglio sono stati ovviamente i giornalisti musicali, oggi meno influenti di una volta, ma che un tempo erano in grado di decidere con un tratto di penna le fortune di intere carriere. Il solito Frank Zappa però amava mettere tutti sullo stesso piano. Recita una sua frase fin troppo nota: «Il giornalismo che si occupa di rock è fatto da gente che non sa scrivere che intervista gente che non sa parlare, per gente che non sa leggere». Nel repertorio di canzoni dedicate a giornalisti e giornali però non ci sono solo invettive a critici spocchiosi e nemici, ma attacchi contro il «quinto potere» e pure qualche storia di reporter eroici.

Bob Dylan – «Ballad of a Thin Man» (1965)

«Entri nella stanza con la matita in mano, vedi qualcuno nudo e dici chi è quell’uomo? Ce la metti veramente tutta ma non capisci». Il Mr. Jones di cui canta Bob Dylan in questo brano tratto da Highway 61 Revisited è un po’ l’archetipo del giornalista un po’ ingenuo incapace di capire i cambiamenti del mondo che lo circonda. È anche diventato il simbolo di come i protagonisti della musica vedono critici e reporter. Dylan che all’epoca era in polemica col mondo intero e detestava di cuore la stampa non risparmia ironie caustiche: «Sta succedendo qualcosa qui ma tu non sai che cosa (…) dovrebbe esserci una legge per impedirti di andare in giro». Ci si interroga ancora su chi fosse in realtà Mr. Jones. Dylan come al solito ha disseminato piste contraddittorie sulla questione durante interviste e concerti. Gli indiziati sono Max Jones, critico musicale del Melody Maker, che intervistò Dylan nel ’64 o Jeffrey Jones collaboratore di Time Magazine, che aveva intervistato Dylan il giorno prima della storica esibizione al Newport Folk Festival tormentandolo con una serie di domande stupide.

Francesco Guccini – «L’avvelenata» (1976)

Una delle invettive più geniali e riuscite sul giornalismo e sul pubblico musicale italiano (e su molto altro) ha visto la luce del sole proprio grazie alla sua vittima designata: il critico Riccardo Bertoncelli. È stato il giornalista stesso a ricostruire la genesi di questo brano. Nel 1975 Guccini pubblica Stanze di vita quotidiana e il critico, allora collaboratore della rivista Gong, lo stronca con una recensione dotta e verbosa come andavano di moda all’epoca. Bertoncelli scopre poi, quasi per caso, che Guccini ha scritto una canzone su di lui che esegue dal vivo. Vistosi poi pure sbeffeggiato in un’intervista rilasciata dallo stesso cantautore, decide, anche se i due non si erano mai visti né sentiti, di telefonargli. Viene fissato un appuntamento a Bologna. L’incontro tra il giornalista e il cantautore non finisce in rissa, ma è cordiale e amichevole. Guccini a un certo punto tira fuori la chitarra e canta al giornalista il brano che lo nomina e il celebre verso: «Che cosa posso dirvi? Andate e fate, tanto ci sarà sempre, lo sapete, un musico fallito, un pio, un teorete, un Bertoncelli o un prete, a sparare cazzate». L’autore si dichiara dell’idea di cancellare il cognome e manifesta anche qualche dubbio sulla pubblicazione del brano, Bertoncelli invece lo convince a lasciare la canzone così com’è. Verrà pubblicata sull’album Via Paolo Fabbri 43, diventando un classico della musica italiana.

Rino Gaetano – «Ping Pong» (1980)

«Oggi il giornale ha un prezzo nuovo perché ha notizie più costose più fresche e più narrate o forse chissà perché viene l’estate», Rino Gaetano nel suo ultimo album si divertiva a prendere in giro la stampa in questo pezzo che è una versione estiva, più spensierata e meno abrasiva del suo capolavoro Nuntereggae più. Il giornalismo spazzatura ispira al cantautore una carrellata di immaginari titoli, neanche poi tanto immaginari: «Un sagrestano cambia sesso, Woytila sfida la Calligaris, spaccio di droga alla stazione, c’è qualcuno che si imberta in tasca un milione… i conti della Sip non convincono mai, Mario Capanna parla in latino, il Campiello a De Crescenzio (con la i nel testo, ndr), a colloquio coi lettori… chissà per spezzare il silenzio». Il riferimento all’allora nuovo papa polacco e alla sua sfida con l’olimpionica Novella Calligaris era dovuto al fatto che i giornali all’epoca avevano dato una certa enfasi al fatto che il pontefice praticasse il nuoto. Una notizia annunciata come uno scoop sensazionale.

Don Henley – «Dirty Laundry» (1982)

Un singolo di grande successo che contribuì a lanciare la carriera solista del batterista e cantante degli Eagles. Dirty Laundry (biancheria sporca) è una satira del sensazionalismo e del giornalismo televisivo che ai tempi negli Usa stavano assumendo la dimensione spettacolare che porterà al successo dei canali all-news. Conta solo l’aspetto, lo show: «Potevo essere un attore, ma sono finito qui – recitano le liriche del brano -. Devo apparire bene, non devo essere pulito (…) Ecco la bionda ossigenata del Telegiornale delle cinque. Non riesce a parlare dell’incidente aereo senza che gli occhi non le si illuminino». Il ritornello riassume poi lo slogan, secondo Don Henley, del vero giornalista moderno: «Prendili a calci quando sono in piedi, prendili a calci quando sono a terra».

Nick Cave and The Bad Seeds – «Scum» (1986)

Prima di ingentilirsi cantando con Kylie Minogue, Nick Cave era un tipo davvero poco raccomandabile. E da cui girare alla larga. Almeno cosi sembrerebbe dalla canzone Scum (letame) uscita sull’album Your Funeral… My Trial. È una canzone dell’odio in cui Cave elenca senza pietà una serie di personaggi che odia e che descrive in modi irripetibili. Non manca un giornalista reo, secondo il testo di aver scritto una «cattiva recensione». Nick non dimentica e promette vendetta: «Forse tu stai pensando che sia solo acqua passata. Mio non-amico, io sono uno che si tiene il risentimento. Ti ho creato io, fottuto traditore, segaiolo cronico… Da che buco sei spuntato fuori Giuda, Bruto, Letame?» Agli insulti seguono le minacce: «Hey quattrocchi lo vedi? Questa è una pistola!». La storia però è più interessante se si sente l’altra campana. Il critico della canzone si chiama Mat Snow, ai tempi collaboratore del settimanale musicale NME. Amico di Cave e fan di lunga data della sua band vecchia band, i Birthday Party, aveva ospitato il rocker e la sua fidanzata a casa sua nel 1983 dopo lo scioglimento della band. «Era molto divertente – ha ricordato il giornalista – anche se si faceva di eroina, ma era molto discreto». I due si persero di vista. Snow stroncò tempo dopo il secondo album di Cave e dei Bad Seeds e si ritrovò poi faccia faccia con Nick per un’intervista. Il cantante fu scorbutico e scostante, Snow gli chiese come mai e Cave rispose: «Perché sei uno stronzo» e gli annunciò che era diventato il protagonista di una sua canzone. Snow ascoltò Scum, ma il finale della storia è a sorpresa. «Penso sia una delle sue canzoni migliori – ha detto in un’intervista Snow -. Per quanto mi riguarda preferisco essere ricordato come il capro espiatorio di un genio che una nota a pie’ di pagina discografica. Mia moglie adora Nick Cave. E Scum è la nostra canzone».

Public Enemy – «A letter to the New York Post» (1991)

Se c’è un gruppo che ha versato fiumi non di inchiostro, ma di rime contro i media sono stati i Public Enemy. Uno dei brani che li rese celebri fu Bring the Noise” del 1987, che il leader del gruppo Chuck D scrisse per sua stessa ammissione contro alcuni critici del settimanale newyorkese Village Voice che non avevano creduto nella rivoluzione del rap. Un altro loro classico She Watch Channel Zero!? non fu solo il primo pionieristico pezzo di rap metal, ma era un attacco alla tv spazzatura. Nel loro album del 1991 Apocalipse 91… The Enemy Strikes Black decisero di essere anche più espliciti. In How to Kill a Radio Consultant se la prendevano con le radio che si rivolgevano agli afroamericani, ma erano sempre di proprietà dei bianchi. Ma le rime al veleno erano contro il più noto tabloid newyorkese in A Letter to the New York Post. Le lusinghe al quotidiano abbondano: «Il peggior pezzo di carta sulla costa est», «Una stronzata quotidiana», «Fondato nel 1801, 190 anni di continue notizie del cazzo». In realtà il brano ha motivi molto personali. Il Post aveva infatti rivelato senza tacere nessun dettaglio che Flavor Flav, l’altra anima dei Public Enemy, era stato segnalato dalla polizia per aver picchiato la moglie. «Il NY Post non può distruggermi – rappa Flavor Flav nella canzone – un titolo e una copertina del cazzo. Cercate di dire le cose giuste, figli di puttana!» Evidentemente non sono solo i politici ad accusare i giornalisti quando sono in difficoltà…

Morrissey – «Journalists who Lie» (1991)

Chi conosce la stampa musicale britannica sa bene che è capace di portare in trionfo e mettere sul piedistallo un artista per poi distruggerlo selvaggiamente e con un certo compiacimento nel giro di poco tempo. Morrissey, ai tempi del suo secondo album solista, si cimentò in una tirata contro questo giornalismo sadico con un brano pubblicato come B-side del singolo Our Frank e dal titolo molto esplicito: Journalists who Lie (Giornalisti che mentono). Il pezzo è tutt’altro che memorabile, ma l’ex Smiths si sfoga contro critici e testate inglesi che prima l’avevano portato in palmo di mano e dopo un po’ si erano divertiti a stroncarlo. «Lodate e poi crocifiggete, sapete solo seguire questo schema – si lamenta il cantante -. Provano solo a farsi un nome, spargendo bugie rivoltanti su quelli che li hanno aiutati a diventare famosi». Inutile dire che per la stampa inglese non esiste pubblicità negativa e i giornalisti accolsero di buon grado questa provocazione, massacrando con disinvoltura il nuovo repertorio di Morrissey. Our Frank fu il suo singolo di minor successo da quando aveva iniziato la carriera solista.

Guns N’ Roses – «Get in the Ring» (1991)

Axl Rose oggi è un cantante imbolsito e con un trapianto mal riuscito di capelli, ma all’inizio degli anni Novanta era la rockstar numero uno al mondo. E si comportava come tale. In Get in the Ring (Salite sul ring), brano pubblicato nell’album Use Your Illusion II, attaccava alla gola la stampa musicale americana che aveva dileggiato i Guns N’ Roses per i loro capricci da divi. A differenza di tante altre canzoni contro i giornalisti il vulcanico Axl qui non nascondeva nomi e cognomi: «E questo è per tutti voi delinquenti della stampa. Che date fiato a stronzate stampando balle invece di quello che dichiariamo. Sto parlando di te Andy Secher di Hit Parader; la rivista Circus e Mick Wall di Kerrang». La stoccata più dura era riservata a Bob Guccione Jr. figlio dello storico editore di Penthouse e boss della bibbia del rock alternativo Spin. Tuonava contro di lui Rose: «Sei arrabbiato perché tuo padre ha più fighe di te? Andate tutti a farvi fottere». Seguivano poi altri insulti irripetibili e l’invito a salire sul ring e ad essere presi a «calci nel culo». Alla canzone Bob Guccione Jr. rispose dicendo di essere pronto a una vera sfida sul ring. Axl Rose non si fece più sentire.

Ben Folds – «Fred Jones Part II» (2001)

La rivoluzione digitale ha comportato, negli Usa come in tutto il resto del mondo, la chiusura e il ridimensionamento di moltissimi giornali. In tanti si sono trovati senza lavoro e senza prospettive. L’unico che l’ha ricordato in una canzone è il cantautore americano Ben Folds che in questa struggente ballata racconta il triste addio di un vecchio reporter: «Ha sistemato le sue cose, le ha messe in uno scatolone. Cose che gli ricordano che la vita è stata bella. 25 anni ha lavorato al giornale. L’uomo è arrivato per portarlo fuori. Mi dispiace Mr. Jones, è tempo di andare». Forse non a caso il giornalista è ancora un Mr. Jones come lo spaesato cronista della canzone di Dylan. Gli anni sono passati, i giornalisti si sono trasformati da carnefici da dileggiare a vittime da compatire.

Samuele Bersani – «Cattiva» (2003)

Il brano, tratto dall’album Caramella Smog e vincitore della Targa al Premio Tenco, è ispirato dal clamore mediatico che ebbe il delitto di Cogne. L’opinione pubblica si divide tra innocentisti e colpevolisti, ma in realtà è solo un branco di spettatori assetati di sangue che ricorda le folle che nel medioevo assistevano a processi e roghi: «Ero presente in piazza – recita la canzone – provavo immenso piacere mi sentivo bene a vedere come si muore». Le news sono solo sensazionalismo: «Chiedi un autografo all’assassino. Chiedigli il poster e l’adesivo e approfitta finché resta dov’è, toccagli la gamba, fagli una domanda. Cattiva. Spietata. È la mia curiosità impregnata di pioggia televisiva. Comincia un’altra partita». Samuele Bersani ha spiegato la fonte primaria del brano al concerto del primo maggio del 2010: «L’ho scritta – ha detto al pubblico – pensando al peggior telegiornale italiano che abbiamo che è Studio Aperto. Non mi ha mai rappresentato. E quando mette le mie canzoni nei servizi con le tette mi vergogno. Non vorrei averle mai scritte». Ma il giornalismo non è solo Studio Aperto, Bersani lo ha ricordato nel brano Occhiali rotti dedicato a Enzo Baldoni, reporter free lance ucciso in Iraq nell’agosto del 2004.

Modena City Ramblers – «I cento passi» (2004)

I cento passi che a Cinisi dividevano la casa del giornalista e attivista Peppino Impastato da quella del boss Tano Badalamenti sono diventati il simbolo del coraggio di chi non tace contro la mafia. Impastato proveniva da una famiglia mafiosa, spezzò i legami di sangue per denunciare attraverso l’emittente radiofonica Radio Aut gli interessi e le connivenze tra politica, economia e mafia. La sua sfida a «Mafiopoli», come la chiamava lui, gli costò la vita. Cosa Nostra lo eliminò nel maggio del 1978. La sua vita è diventata un film di Marco Tullio Giordana nel 2000. Dal film i Modena City Ramblers riprendono i dialoghi e cantano un inno al coraggio di Peppino il ragazzo che «Poteva come tanti scegliere di partire. Invece scelse di restare».

Anti-Flag – «The Press Corpse» (2006)

Una punk band attenta alla politica come gli americani Anti-Flag non poteva lasciarsi sfuggire l’occasione di scrivere una canzone contro la stampa che ai tempi della guerra in Iraq aveva guidato la carica guerrafondaia, credendo alle bugie sulle armi di distruzione di massa e sostenendo la disgraziata politica estera di George W. Bush. Nel brano The Press Corpse, sin dal titolo, definiscono i giornalisti accreditati non come «corp» (corpo, gruppo), ma come «corpse» (cadavere) e li accusano di complicità nel massacro seguito alle missioni militari Usa. «La Casa Bianca sbotta: “Al Jazeera sbaglia!” Il Press Corpse sale a bordo e canta la loro canzone. Mentre in Iraq muoiono a migliaia per colpa delle bugie. I giornalisti senza spina dorsale hanno suonato i tamburi della guerra e delle persone sono morte». Ha spiegato il cantante del quartetto Justin Sane: «Fallendo miseramente il loro ruolo di sentinelle del popolo, i media mainstream devono essere ritenuti responsabili con il regime di Bush per la tragedia che si è consumata e si consuma ancora oggi in Iraq».

U2 – «Cedars of Lebanon» (2009)

In un caso probabilmente unico nell’universo rock, Bono in questa ballad tratta da No Line on the Horizon non parla di giornalisti e reporter, ma ne veste i panni. La canzone narra il punto di vista di un corrispondente di guerra smarrito in qualche conflitto mediorientale (è il Libano, ma potrebbe essere la Palestina, l’Iraq o la Siria), alienato da una vita che gli ha tolto i legami familiari e personali e lo ha messo in contatto con gli orrori del mondo. «Ho passato la notte cercando di rispettare una deadline. Ho cercato di riassumere vite complicate nelle parole di un titolo» recita il brano. Alla fine emerge il dramma di uomini condannati a diventare parte del dolore che descrivono: «Scegli i tuoi nemici accuratamente, perché loro ti definiranno. Rendili interessanti, perché in qualche modo si cureranno di te. Non sono lì all’inizio. Ma quando la storia finisce. Rimarranno con te più a lungo dei tuoi amici». «Ho incontrato molti corrispondenti di guerra nella mia vita – ha spiegato Bono -. Con loro ho una certa empatia. Perché avrei potuto essere uno di loro».

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