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Rock & calcio, la partita senza fine

Rock & calcio, la partita senza fineLa copertina di «Statuto Football Club», il nuovo album degli Statuto

Fenomeni/Dischi e insolite iniziative alimentano un legame indissolubile Tanti i musicisti tifosi, specie in Inghilterra. Da Elton John a Noel Gallagher, che ha ideato la nuova maglia del «suo» City, agli Statuto

Pubblicato circa 2 ore faEdizione del 12 ottobre 2024

Il connubio calcio e musica è andato per tantissimo tempo a braccetto nell’immaginario della working class e del proletariato, come elemento salvifico da una vita in fabbrica o dedita a lavori «umili» e sfiancanti (molto spesso mal pagati, sotto la soglia dello sfruttamento). Il successo o il semplice accesso a uno di questi ambiti portava, abbinata a una certa dose di talento, a una vita agiata o comunque decisamente diversa. Ma è solo in tempi relativamente recenti che le due entità si sono unite in un vero e proprio abbraccio. Basti pensare che Brian Epstein proibì categoricamente ai quattro Beatles di esternare una qualsivoglia preferenza calcistica per non inimicarsi le tifoserie avversarie.

Non fu difficile, vista la tiepidissima passione di John e Ringo per il Liverpool e il totale disinteresse di George: «Nella mia città ci sono tre squadre di calcio: il Liverpool, l’Everton e il Tranmere Rovers. Io tifo per la quarta». Solo Paul è sempre stato un acceso fan dell’Everton (trascinò John a una finale di FA Cup nel 1966 ma il chitarrista ne uscì annoiato e indifferente). Ian McCulloch, voce degli Echo & The Bunnymen, sfegatato tifoso del Liverpool, ricorda come negli anni Ottanta nell’ambiente punk/new wave fosse sconsigliatissimo esternare le proprie passioni calcistiche, per non incorrere nel biasimo dei colleghi e dei fan. Più chiaro è Pete Wyle (ex membro della new wave band Wah! Heat): «Nessuno parlava di calcio, eri considerato un musicista part-time se ammettevi che ti piaceva il calcio, l’idea che a qualcuno potessero piacere due cose contemporaneamente era piuttosto bizzarra all’epoca.

Il calcio era working class e sebbene lo fossimo anche noi, volevamo essere meno classisti, non volevamo essere etichettati ed eravamo già oltre queste definizioni. Avevo amici che erano dichiaratamente gay e non era un problema, ma dovevo nascondermi come appassionato di calcio». Ne sanno qualcosa i Cockney Rejects, punk rock band che ebbe la malaugurata idea di apparire nella trasmissione Top of the Pops nel 1980, cantando la loro versione di Forever Blowing Bubbles, inno del West Ham, con tanto di maglietta della squadra. Nel giro di pochissimo tempo furono costretti a sospendere l’attività concertistica a causa dei continui attacchi da parte dei tifosi delle squadre avversarie, con risse, distruzioni dei locali, feriti.

ASPETTO IDENTITARIO
Nel corso degli anni il calcio è stato finalmente sdoganato, il dichiararsi tifosi non è più discriminante, anzi, è diventato un aspetto identitario molto apprezzato da chi condivide la stessa passione calcistica, tranquillamente tollerato dalle opposte fazioni. Rivalità stemperate e diluite, con il musicista tifoso che acquisisce anzi una sorta di fascino in più, riportandolo a una dimensione più vicina alla quotidianità dei fan. Il Manchester City ad esempio gioca le partite di Champions con una nuova maglia, ideata in collaborazione con Noel Gallagher, ispirata al primo album degli Oasis.

I due fratelli sono sempre stati esplicitamente fan di quella che una volta era la squadra «minore» della città, oscurata dai successi dello United e non disdegnano frequenti apparizioni allo stadio. Passione che non hanno mai nascosto, anzi costantemente ostentato, tanto quanto l’amore per altri divertimenti: nel pieno e più genuino spirito working class. Sempre il City aveva realizzato qualche anno fa la terza maglia con strisce giallonere che omaggiavano lo storico club della città, l’Hacienda, dove transitarono, tra gli Ottanta e Novanta, gruppi e dj storici della new wave. Il Manchester United invece, per non essere da meno dei rivali, inserì nel suo merchandisng una shirt calcistica che riprendeva la copertina del primo album degli Stone Roses.

Ancora più affascinante e specifico il riferimento del Coventry City (serie B inglese) che festeggiò i quarant’anni dell’etichetta cittadina 2Tone, protagonista dello ska revival nel 1979 con Specials, Selecter, The Beat, vestendo i giocatori con una bellissima maglia a scacchi bianchi e neri con il logo e una scritta ben rappresentativa della label, contro razzismo e discriminazione. Tornando agli Oasis, quando Noel Gallagher fu ospite da Fabio Fazio, Alessandro Del Piero incaricò il cantante degli Statuto, Oscar Giammarinaro (presente in studio), di portargli la sua maglia, che il chitarrista desiderava ardentemente. Gli Statuto sono però sempre stati sfegatati fan del Torino, a cui nel 2005 dedicarono l’album Toro, con tanto di inno ufficiale della squadra e nove canzoni scritte specificatamente per i granata, e molto spesso autori di canzoni iconiche come Ragazzo Ultrà o Facci un gol dedicata a Paolo Pulici che volle partecipare anche al video del brano. Gli Statuto tornano alla loro passione sportiva proprio in questi giorni, con un nuovo lavoro, Statuto Football Club, una divertente e riuscita raccolta di canzoni e sigle radio-tv a tema calcistico, riarrangiate con il loro tipico stile ska-soul-pop.

TESTIMONIANZE
La lista dei musicisti appassionati di calcio è lunga e variegata e c’è solo l’imbarazzo della scelta per trovarne testimonianze più o meno curiose. Scegliendo tra le più significative ricordiamo quella su Fabrizio De André, dichiaratamente genoano, che considerava il calcio una specie di fede laica e di auto affermazione per immedesimazione nei colori della squadra. «Il tifo è il bisogno di schierarsi in un partito, simbolizzato magari da un colore ma che si pretende essere sostenuto da una tradizione o da una cultura diversa da quella degli altri. Il tifo nasce da un bisogno forse infantile di identificarsi in un gruppo che ha come obiettivo la lotta per la vittoria contro altri gruppi». Famosa la sua frase ad un concerto a Genova: «Ho una malattia», a cui il pubblico reagì trattenendo il fiato. Invece appoggiò la chitarra, tirò fuori la sciarpa del Genoa: «Questa è la mia malattia, si chiama Genoa».

Il musicista e poeta Gil Scott-Heron, definito il padre dell’hip hop, era figlio della Black Arrow del Celtic Glasgow, Giles Heron, il primo calciatore nero a giocare in Scozia, nei primi anni Cinquanta, ma non mancava di sottolineare la sua passione, però, per i rivali storici, i Rangers. Divertente la sua usanza di suonare in Scozia con la sciarpa del Celtic e il cappello dei Rangers. Elvis Costello, supporter del Liverpool, ricevette una pesante contestazione prima di un suo concerto nel maggio 2005, perché impegnato a seguire in diretta tv la finale della Coppa dei Campioni tra la sua squadra e il Milan, che si fece rimontare tre gol dai Reds. Il Liverpool vinse il trofeo ai rigori, facendo durare il match oltre due ore.

I Pink Floyd sono sempre stati tifosissimi dell’Arsenal ma amavano anche giocare a calcio, tanto da fondare il Pink Floyd Football Club, composto dai quattro membri della band, fonici e roadie. Giocarono contro squadre di giornalisti e simili compagini. Roger Waters, ovviamente, nella sua innata modestia, ha sempre sostenuto di essere stato il migliore in campo. Nota la passione per il pallone anche di Bob Marley. Come i Pink Floyd fondò una squadra di musicisti e tecnici del suono, la The House of Dread F.C, arrivando anche a giocare una partita con i neocampioni di Francia del Nantes, nel 1980, cinque contro cinque, persa di misura 4 a 3.
Rod Stewart è notoriamente un grande appassionato e da giovane provò anche la carriera di calciatore facendo un provino per le giovanili della squadra di Terza Divisione del Brentford (la stessa con cui aveva provato, con scarsissimi risultati, pure Keith Richards), alla fine degli anni Cinquanta ma abbandonando presto per dedicarsi alla musica.

«Avevo sedici anni e mi stavo contemporaneamente appassionando anche alla musica. Andai al provino, che durò una settimana, più per fare un piacere a mio padre che sperava che almeno uno dei suoi tre figli diventasse calciatore. Curiosamente mi interessa giocare più adesso di allora, non credo comunque che avrei fatto strada. Ad ogni modo ho giocato con giocatori professionisti in partite di beneficenza ad Hampden Park, con i miei idoli, come Denis Law e Kenny Dalglish e a Wembley sei volte, cosa che la quasi totalità dei calciatori non riesce a fare. Ho giocato in un sacco di grossi stadi, con tanti grandi giocatori, senza dovermi sacrificare per allenarmi o cose del genere.

IL PRESIDENTE
Elton John per non perdere tanto tempo si comprò, nel 1976, direttamente una squadra, il Watford, di cui è sempre stato tifoso fin da bambino. Ne divenne presidente e dalla Quarta Divisione salirono, per la prima volta, in First Division (come allora veniva chiamata l’attuale Premier League) nel 1982, per centrare un clamoroso secondo posto nella stagione successiva, andando anche in finale della FA Cup, persa per 2-0 contro l’Everton. Successivamente ha lasciato la proprietà, rientrando un paio di volte per sistemare la situazione finanziaria precaria (suonando anche alcuni concerti nello stadio per devolvere i fondi al club). Ne è rimasto presidente onorario, detiene ancora importanti quote di proprietà e gli è stata dedicata la tribuna «Sir Elton John».

Anche se Morrissey si è sempre dichiarato fan dello United, pare che ne sapesse ben poco di calcio. Più circostanziato l’ex chitarrista degli Smiths, Johnny Marr, fan del City: «Gli allenatori di calcio verso la fine degli anni Settanta non vedevano di buon occhio i ragazzi che avevano connessioni col mondo musicale. Fui scartato dall’allenatore delle giovanili del City a un provino per via delle mie inclinazioni musicali, ero sicuramente bravo a sufficienza per le giovanili del Manchester City , ma ero l’unico che si truccava gli occhi. Metà dei giocatori della partita preferirono girarmi al largo, l’altra metà cercò di colpirmi ininterrottamente, continuai a provocarli, la mia carriera calcistica era destinata a durare poco in ogni caso».

Vale la pena di ricordare The Man Don’t Give a Fuck del 1996 dei Super Furry Animals, dedicata a Robin Friday, scomparso nel dicembre 1990 a 38 anni, leggenda del Cardiff City, squadra della loro città. Calciatore dotato di un eccezionale talento, ebbe una carriera sfavillante nelle divisioni inferiori inglesi, costellata però da eccessi di ogni genere, alcol, droghe, donne, risse e follie in campo e fuori.

Uno dei più famosi dj radiofonici, John Peel, era anche un grande tifoso del Liverpool (tanto da chiamare i figli Shankly e Dalglish, cognomi di due grandi esponenti della squadra). Interessante la sua comparazione di calcio e musica, quando, negli anni Novanta, il business cominciò ad entrare prepotentemente nel calcio, quando tracciò un parallelismo con l’industria musicale dichiarando: «Sebbene entrambi siano condotti da gente volgare e rozza che non ha a cuore altro che il cliente pagante, il prodotto, in entrambi i casi, mantiene una capacità di partecipazione emotiva che va oltre la comprensione dei suddetti rozzi e volgari». Molte squadre hanno adottato canzoni come inno delle curve o da usare all’inizio delle partite. Uno dei primi esempi fu The Liquidator di Harry J Allstars del 1969, un classico della famosa etichetta Trojan, brano ska strumentale molto popolare nelle curve inglesi anni Settanta. I tifosi del Chelsea ne rivendicano l’uso in anteprima già dall’anno di uscita, sebbene siano in concorrenza con i colleghi di West Bromwich Albion, Wolverhampton Wanderers, Northampton Town , Wycombe Wanderers e St. Johnstone (Scozia).

LA LEGGENDA
Ma non sono solo i musicisti ad essere appassionati di calcio. Più rari ma anche parecchi calciatori hanno esternato gusti musicali molto particolari e interessanti. Evitando accuratamente le prove canore di molti di loro, che si sono dedicati alla realizzazione di canzoni o addirittura album con risultati pressoché imbarazzanti. Fa eccezione la leggenda Pelé, che nel 2006 esordì con l’album Ginga, con 12 brani autografi, arrangiato dal jazzista Ruria Duprat, in equilibrio tra atmosfere tipicamente brasiliane, bossa nova e samba, con spruzzate di jazz con solo alcuni brani con tematiche a sfondo calcistico.

Anche Socrates (il «filosofo» o «Dottor Guevara del football» che fu con Fiorentina, Santos, Flamengo, Corinthians e 60 volte in Nazionale) incise l’ellepì Casa de Cabloco con musica tradizionale sertaneja che vendette velocemente 50mila copie e partecipò nel 1982 alle registrazioni dell’album Aquarela di Toquinho nel brano Corinthians do meu coração (dedicata alla squadra in cui stava giocando ai tempi e di cui il cantautore brasiliano è sempre stato tifoso). Stuart Pearce (ex West Ham, City, Nottingham Forest, Newcastle, allenatore dell’Inghilterra Olimpica, detto anche «Psycho Pearce») ha dichiarato in un’intervista le sue origini punk rock: «Quando avevo 14 anni, dopo la scuola, andavo dritto in camera da letto per ascoltare i miei dischi. Le pareti avevano manifesti di tutte le band che mi piacevano: Clash, Stranglers, Stiff Little Fingers, Bowie. Avevo anche un enorme poster di Holidays in the Sun dei Sex Pistols. Non avevo idea di quello che volevo fare allora – non ce l’ho nemmeno ora – ero solo dentro la musica. Non mi interessava ascoltare canzoni lente o ballate, volevo solo qualcosa di veloce e forte che potevo cantare saltando su e giù sul letto con una mazza da baseball come un idiota. Complete Control dei Clash era la canzone più dura che avevo, tutto quello che volevo era in quel pezzo. Mi sparavo White Riot dei Clash prima di andare a giocare, soprattutto quando ero nel Forest».

SUGLI SPALTI
I Rolling Stones sono sempre stati appassionatissimi di cricket (il solo Bill Wyman è folle per il Crystal Palace ma soprattutto tifa contro il Millwall per cui non esita a usare parole di vero e proprio odio) ma Mick Jagger, cuore Arsenal, ama tantissimo anche il calcio, soprattutto le partite della Nazionale. Anche se la fama che lo accompagna non è delle migliori. Immancabilmente la sua presenza sugli spalti coincide con una sconfitta (Mondiali, Europei, competizioni internazionali) della compagine inglese. Robert Plant, ex voce dei Led Zeppelin, è un accanito fan del Wolverhampton. L’elenco è pressoché infinito e coinvolge personaggi insospettabili, intellettuali che ci hanno regalato canzoni epiche, ricche di concetti sociali, politici, introversione, riflessioni profonde sul senso della vita ma che di fronte alla passione per una squadra o al colore della maglia di riferimento, ritrovano il gusto per quello che è il divertimento popolare per eccellenza, che trascende collocazioni socio economiche o posizioni politiche. Purtroppo, come è ben noto, il «sistema calcio» sta andando sempre di più verso una dimensione puramente utilitaristica, dove il guadagno o la possibilità di utilizzare le squadre per questioni fiscali o affini hanno attirato holding finanziarie, fondi opachi, sceicchi e magnati di dubbia provenienza, che nulla hanno a che fare con l’amore per la maglia. Per non parlare della recente inchiesta sulle curve di Milan e Inter. Ma questa, purtroppo, è un’altra partita, orribile.

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