Robotiche ragazze, sfida ai tabù per Noriko Yamaguchi
Incontri Mitologia, scienza applicata, sessualità e femminismo, temi chiave dell'artista giapponese esplorati attraverso la formula dell'autoritratto. «La tecnologia ha cambiato il modo di comunicare, per questo ho scelto di utilizzarla nelle mie opere»
Incontri Mitologia, scienza applicata, sessualità e femminismo, temi chiave dell'artista giapponese esplorati attraverso la formula dell'autoritratto. «La tecnologia ha cambiato il modo di comunicare, per questo ho scelto di utilizzarla nelle mie opere»
Un grande deposito della Toyoko Inn, catena d’albergo giapponese, è l’edificio che ospita da cinque anni l’Art Factory Jonanjima nella zona di Ota-ku, vicino alla lunga spiaggia. In ogni piano ci sono almeno una ventina di studi di dimensioni diverse, a cui si aggiungono gli spazi espositivi temporanei e l’immensa istallazione permanente di Kimiyo Mishima (Osaka 1932), nota artista interprete di una visione realisticamente pop con i suoi accumuli di prodotti, tra cui le pagine di giornali che celano la loro vera identità materica: strati sottilissimi di ceramica. Da tre anni al quarto piano c’è anche il piccolo studio di Noriko Yamaguchi (Kobe 1983, vive e lavora a Tokyo). La spesa dell’affitto è irrisoria se confrontata ai prezzi degli immobili nella capitale nipponica, però alle 21e 30 in punto tutti fuori! L’edificio chiude i battenti ed è vietato il pernottamento.
Durante la giornata, invece, gli eventi animano la struttura, soprattutto la terrazza sovrastata dal cielo solcato dagli aerei del vicino aeroporto di Haneda, location perfetta anche per shooting di moda. Yamaguchi attraversa la città almeno tre volte alla settimana, dividendo il suo tempo tra la pittura figurativa e l’attività commerciale (Nolico Embroidery), oltre che lavorare per una ditta che stampa 3D. Un angolo del suo spazio è occupato proprio dalla macchina per maglieria con i fili colorati con cui realizza le sue toppe ricamate particolarmente richieste dal mercato internazionale. Yamaguchi, che si è laureata alla Kyoto University of Art and Design nel 2005, conseguendo lì anche il master, è tra gli artisti selezionati dal grande maestro Eikoh Hosoe che ne vide le potenzialità ai tempi in cui era ancora una studentessa. Non esattamente enfant terrible della scena artistica giapponese del nuovo millennio, Noriko Yamaguchi sfida i tabù della società giapponese quando, nel 2003, crea la sua prima fortunata serie Keitai girl.
Mitologia, tecnologia, sessualità e femminismo, più o meno consapevolmente, sono gli elementi chiave del suo lavoro, con cui sceglie di esplorare attraverso la formula dell’autoritratto questioni esistenziali che appartengono alla sua generazione. Keitai girl è un personaggio femminile il cui corpo nudo è ricoperto di tastiere di cellulari. Una sorta di alter ego dell’artista, territorio di sperimentazioni in grado di bypassare i limiti imposti dalla società giapponese alle donne, a cui tuttora non è riconosciuta la parità, soprattutto sulla scena delle arti visive. «Quando avevo 18 anni, – spiega Yamaguchi – i miei colleghi hanno iniziato a usare il cellulare per qualsiasi comunicazione, invece prima ci si incontrava, si parlava dal vivo.
L’uso della tecnologia ha cambiato la comunicazione, per questo ho scelto di usare il cellulare anche nella mia opera. Ricoprendo il mio corpo con i tasti diventavo il centro d’attenzione per tutti, coinvolgendo così gli altri che avrebbero dovuto toccarmi per stabilire un rapporto diretto». Poi la sua Katai girl si è moltiplicata diventando numerose e robotiche girls – «come se fosse una mia famiglia, tante sorelle, le signorine Yamaguchi» – che hanno dato vita ad azioni visive e sonore messe in scena a Tokyo, Parigi, Boston e altrove. Quanto all’implicazione della nudità è certamente un segnale di contestazione, sebbene l’artista abbia sempre «giocato» in chiave performativa più che provocato, ricorrendo ad una rappresentazione simbolica vicina alla cultura popolare giapponese (manga inclusi) come nei personaggi successivi: Ogurara Hime, Golden Zazame, Peppermint mother. In particolare la principessa Ogurara, simbolica rappresentazione archetipica del potere femminile legato alla fecondità, ha il corpo ricoperto di fagioli rossi azuki, gli stessi con cui si prepara l’anko, una specie di marmellata con cui si farciscono i tayaki, biscotti a forma di pesce tanto amati dai bambini.
La quantità è un elemento fondamentale nella rappresentazione, che siano fagioli o chewing gum: «da una parte nutrono il mio corpo, dall’altra creano un ponte tra me e la società». Per Yamaguchi si tratta indubbiamente anche di indagare le dinamiche che regolano i rapporti tra gli individui. Tra i suoi mentori riconosce un certo interesse per la body art, soprattutto attraverso Cut piece (1965) di Yoko Ono, ma certamente è un punto di riferimento l’opera di Cindy Sherman, Mariko Mori e Yasumasa Morimura, ognuno dei quali ricorre all’autorappresentazione. «Le opere di questi tre artisti hanno rappresentato per me la chiave per conoscere l’arte contemporanea. Quando ero studentessa della scuola media pensavo che l’arte si fermasse all’impressionismo, invece con loro ho aperto gli occhi. Ricordo ancora l’effetto di quando vidi a Osaka, dove vivevo, l’enorme manifesto di una mostra di Yasumasa Morimura lungo il fiume Dotombori, in cui dove Morimura indossava i panni di Frida Kahlo».
Dalla performance, video, installazione, scultura e fotografia, l’artista si è orientata recentemente verso la pittura iperrealista. Ancora una volta, però, la fotografia è l’elemento di raccordo tra la realtà e la sua interpretazione, in cui la figura umana rimane centrale anche attraverso l’uso del fotomontaggio. Un percorso nuovo, istintivo e ancora in parte inesplorato, in cui Noriko Yamaguchi si immerge, pennellata dopo pennellata, lavorando contemporaneamente a più tele: «Sì, ci sono sempre io, ma non necessariamente nei miei panni».
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