Alias

Rob Reiner, l’importante è partecipare

Rob Reiner, l’importante è partecipareRob Reiner

Speciale Interviste Il regista analizza la parabola dittatoriale degli Usa

Pubblicato più di 6 anni faEdizione del 11 agosto 2018
Luca CeladaLOS ANGELES

Attore, regista, comico e figlio d’arte, Rob Reiner trova la celebrità negli anni 70 con la partecipazione ad All In The Family (Arcibaldo), la sitcom di Norman Lear consacrata ad archetipo di tv popolare e progressista, che propone in forma di commedia di costume parabole dalla funzione socialmente «edificante». Reiner interpreta l’antagonista dell’antieroe principale, Archie Bunker, una sorta di prototrumpista prevenuto e razzista, i cui svarioni vengono regolarmente puniti dalla sorte. In seguito Reiner troverà fortuna hollywoodiana come regista e autore di film come Harry ti presento Sally, Codice d’Onore e Misery rimanendo al contempo esponente di spicco della Hollywood liberal. Politicamente impegnato anche in commissioni governative, vicino ai Clinton (ha fatto campagna per entrambi) e partecipe di campagne per i diritti civili sin dall’opposizione giovanile alla guerra in Vietnam e in seguito a favore della libertà di matrimonio e cause ambientaliste. Col suo ultimo film si ispira a Tutti gli uomini del presidente per un docudrama che segue gli eventi immediatamente precedenti l’invasione dell’Iraq, attraverso le indagini di due giornalisti che scoprono l’intreccio di falsità costruito dall’amministrazione Bush per giustificare l’intervento americano contro Saddam Hussein. Nello specchietto retrovisore dell’America trumpista, lanciata a capofitto nel baratro populista e neo autoritario (e in cui neocon protagonisti negativi del film fanno ormai opposizione da sinistra), il film rischia di passare come pittoresco anacronismo. Ma la questione del giornalismo – o piuttosto del concetto stesso di «verità» nell’era post-fattuale delle bufale e delle campagne di manipolazione social, rimane invece del tutto attuale.

Esiste ancora il giornalismo?

La mia idea di giornalismo è contenuta nella battuta che nel film dice il mio personaggio rivolge ai suoi redattori: «quando il governo afferma una cosa, tu ti devi porre una domanda sola: è vero?».  È questo il lavoro dei giornalisti. Invece all’epoca faticarono ad andare oltre i titoli e temo che stia nuovamente succedendo. Oggi poi il presidente degli Stati Uniti ha definito la stampa fake news e «nemica del popolo» ed è sempre più difficile giungere alla verità nella cacofonia di internet. E chiunque abbia studiato un po’ i cicli storici sa che non esistono garanzie sulla sopravvivenza della democrazia. Quella americana e attualmente la più longeva in occidente, ha da poco compiuto 242 anni, ma per molte grandi civiltà il traguardo dei 250-300 anni è risultato fatale e dunque eccoci qua.

Come si è potuti giungere a questo punto?

E’ il risultato di una somma di fattori, un paese già di per se profondamente diviso, un presidente afro americano che scatena pulsioni razziste mai sopite. Poi un demagogo che aizza la rabbia e l’odio e una potenza straniera che è ben contenta di favorire tutto questo dato che il suo scopo è quello di destabilizzare la democrazia nel mondo. Lo hanno fatto con Brexit e lo fanno in Italia ed in altri paesi del mondo e vogliono abolire la Nato e hanno trovato ora un volenteroso alleato nel presidente degli Usa. Per questo abbiamo voluto fare un film sull’importanza di una libera stampa e sul fatto che se non sussiste c’è il rischio concreto della fine della democrazia. È un momento preoccupante e proprio per questo il momento di parlarne. Personalmente mi sveglio ogni mattina in uno stato di costante ansietà. Amo questo paese, quello che teoricamente rappresenta. Certamente è una nazione che ha fatto molte cose terribili, ma l’idea fondamentale a cui dovremmo aspirare è quella di una nazione in cui tutti sono benvenuti, ogni nazionalità può convivere, ogni razza e religione, perché questo ci rende più forti. Invece ora siamo governnati da un autocrate che urla «via, fuori, via tutti quelli che non sono bianchi…».

Velleità dittatoriali?

In buona sostanza lo è già. Non è più uno scherzo, è chiaro che non chiede di meglio che di emulare Putin. Mira a essere uno che governa il paese e tutto passa da lui, una percentuale di ogni affare economico..è quello cha sta facendo. Io credo che alla fine fallirà perché credo nella decenza del popolo americano e credo che alla fine le nostre istituzioni reggeranno ma al momento…la stampa è in difficoltà, la legalità è sotto attacco e si sta smantellando il sistema di contrappesi previsto dalla costituzione, non ce ne sono praticamente più. Staremo a vedere fin dove riuscirà ad arrivare, il prossimo passo intanto sarà quello di blindare la corte suprema, cioè l’organo che potrà verosimilmente decidere del suo destino…tutto questo fa davvero paura.

E in tutto ciò l’Iraq è ancora rilevante?

Quell’invasione è il fulgido esempio del prezzo che si paga quando il governo sbaglia, specie se c’è di mezzo la guerra. Ed io credo davvero che siamo oggi nel mezzo di una vera guerra per l’anima della democrazia nel mondo. Viene combattuta con armi insidiose nel ciberspazio dove si possono fare cose terribili, sabotare reti elettriche, fermare approvvigionamenti idrici…l’abbiamo fatto noi e l’hanno fatto gli altri. Con questo dobbiamo fare i conti. La gente deve sentire la verità perché senza di quella nessuno può prendere una decisione informata.

Lei crede che l’America abbia culturalmente acquisito uno spirito critico e democratico sufficiente per resistere ai propri istinti peggiori?

È quello che non sappiamo ma che scopriremo ben presto, la prova che ci attende, e la domanda riguarda principalmente le nostre istituzioni, se abbiano o meno la forza per resistere. Vorrei poter pensare di si ma la realtà è che tutto dipende dalle prossime elezioni. Se i democratici non riusciranno riprendere il controllo della camera, la verità è che questo presidente potrà a agire impunito per altri due anni – abbastanza per distruggere il paese. Ed è molto difficile riconquistare la camera a causa del gerrymandering il sistema per cui molti distretti elettorali sono stati delineati per favorire i repubblicani nel sistema uninominale secco. Il fatto che non sia bastata una maggioranza popolare di tre milioni di voti a vincere le elezioni presidenziali è significativo. I repubblicani sono molto scaltri e sanno vincere, sono molto più bravi a vincere che a governare. Sono disposti a qualunque trucco per farlo. Quelle di novembre sono davvero elezioni cruciali.


Un film o un programma televisivo può aiutare?

Non credo che un singolo film o programma televisivo possa da solo provocare un cambiamento. Quello che può fare l’arte è alimentare il dialogo, possiamo far parte della discussione.

ABBONAMENTI

Passa dalla parte del torto.

Sostieni l’informazione libera e senza padroni.
Leggi senza limiti il manifesto su sito e app in anteprima dalla mezzanotte. E tutti i servizi della membership sono inclusi.

I consigli di mema

Gli articoli dall'Archivio per approfondire questo argomento