Il piccolol Bill potrebbe stare al sicuro nella sua casa ai margini della «Foresta del peccato», ma i bambini sono curiosi e per crescere sani e forti hanno bisogno di sconfinare dalla loro angusta stanza. Soprattutto, è meglio che disobbediscano fin da subito all’ansia materna o paterna. Fuggire, dunque, per calmare la sete di conoscenza. Naturalmente, si fugge meglio se non si hanno pregiudizi e si affronta la vita con la necessaria arguzia, un pizzico di sconsideratezza e una buona dose di humor. Così Bill, infischiandosene delle raccomandazioni adulte andrà incontro spavaldamente ai terribili Sfarabocchi, gli Sputacchioni, Policorni. Ma farà pure amicizia con il popolo dei Minipin che abita nelle cavità degli alberi (sono loro i protettori della foresta dalle distruzioni umane) e deve schivare gli attacchi di bestie ferocissime, come lo Sgranacchione.
I Minipin è stata l’ultima storia che Roald Dahl ha regalato a più generazioni, ispirandosi ai misteri della campagna vicino la sua stessa casa e al bosco che vedeva in cima alla collina. Uscì poco dopo la sua morte, nel 1991 (lui se ne andò con il suo speciale «ascensore di cristallo» il 23 novembre del 1990) e fu illustrato da Patrick Benson che, come spiega Quentin Blake – eterno «compagno visivo» di Dahl – «produsse immagini grandi e splendide». Adesso, però, torna per Salani con la mano di Blake (chiamato nel 2017 a ri-illustrarlo per le edizioni inglesi) e grazie alla frase di chiusura si può considerare questo racconto il vero testamento dell’autore inglese di origini norvegesi, il compendio filosofico del suo scrivere. «E soprattutto osservate con occhi sfavillanti il mondo intorno a voi, perché i più grandi segreti sono sempre nascosti dove meno ve li aspettate. Ma chi non crede nei prodigi non li scoprirà mai».
Delle alchimie di Dahl, quelle che conducono a metamorfosi incredibili, trasuda anche Le streghe, ripubblicato sempre da Salani con capitoli inediti e poi sotto forma di graphic novel (nei tipi Magazzini Salani, pp. 384, euro 14,90) per l’arte di Pénélope Bagieu.
Lo scrittore britannico, in fondo, ha vissuto un po’ come i suoi personaggi. Basti pensare che fra gli oggetti d’affezione, nella sua Gipsy House (oggi museo a Great Missenden, il villaggio fuori Londra dove visse per trentasei anni), c’è anche una valvola per il trattamento dell’idrocefalo (una cura per il figlio) e l’osso della sua anca sulla scrivania. Ma per lui horror e grottesco erano solo due punti cardinali di un mondo fantastico e assai probabile, pure se inverosimile.