Continuano le proteste in Bahrain per l’esecuzione eseguita lunedì in Arabia saudita di due giovani cittadini bahraniti, Sadiq Thamer e Jaafar Sultan, entrambi musulmani sciiti. Cortei con centinaia di persone hanno percorso le strade di varie località del Bahrain e sui social si moltiplicano le condanne delle due esecuzioni. La protesta ha raggiunto anche la prigione di Jau, dove sono rinchiusi numerosi prigionieri politici. Il governo di Manama è accusato di non aver mosso alcun passo per ottenere l’estradizione dei due condannati a morte e di aver lasciato campo libero all’Arabia saudita, protettrice del piccolo arcipelago del Golfo.

Thamer e Sultan erano stati processati in contumacia e condannati al carcere da una corte del Bahrain con l’accusa di far parte di una organizzazione sovversiva. Dopo la cattura in Arabia saudita i due non sono stati estradati ma riprocessati e nel 2021 condannati a morte. Riyadh si è limitata a comunicare di aver giustiziato due cittadini del Bahrain accusati di aver pianificato «atti di terrore» e per «aver ricevuto addestramento in campi appartenenti a entità terroristiche che mirano a destabilizzare la sicurezza dell’Arabia saudita e del Bahrain».

L’uso della pena di morte è raddoppiato dall’ascesa al potere del principe ereditario Mohammed bin Salman, sotto accusa per i suoi sistemi brutali nei confronti degli oppositori politici e i rivali nella famiglia reale. Mbs, così come è conosciuto l’erede al trono saudita, è anche accusato da più parti di essere stato il mandante, il 2 ottobre del 2018, dell’assassinio a Istanbul del giornalista saudita Jamal Khashoggi. Nonostante ciò, l’ex presidente del consiglio italiano Matteo Renzi lo ha definito qualche anno fa il simbolo del «rinascimento arabo». Dal 2015, quando Mbs è diventato il governante di fatto dell’Arabia saudita, nel regno sono state eseguite più di 1.000 condanne a morte. Questo mese nove, più di 40 dall’inizio dell’anno. Prima di Thamer e Sultan, erano stato messi a morte tre cittadini sauditi Hassan bin Issa al-Muhanna, Haidar bin Hassan Muwais e Mohammed bin Ibrahim Muwais. Pare inoltre imminente l’esecuzione di tre membri della tribù Howeitat, nella provincia di Tabuk, accusati di aver resistito allo sgombero per far posto alla megacittà di Neom, uno dei progetti faraonici annunciati da Mohammed bin Salman.

I due bahraniti sono stati processati da una corte speciale e condannati sulla base della contestata legge antiterrorismo con cui l’Arabia saudita giudica spesso gli oppositori politici e i membri della minoranza sciita che vive nella regione di Qatif. Varie organizzazioni locali per i diritti umani affermano che le ultime due esecuzioni eseguite da Riyadh devono essere considerate «omicidi arbitrari». I due giovani avevano negato con forza le accuse nei loro confronti e denunciato ai giudici di aver subito a torture e maltrattamenti per costringerli a confessare. «La leadership saudita si sente immune da qualsiasi conseguenza quando giustizia le persone che ha torturato. Il regime del Bahrein è complice poiché non è intervenuto per salvare le vite dei suoi cittadini», ha commentato Sayed Ahmed Alwadaei, direttore del Bahrain Institute for Rights and Democracy, che ha chiesto attenzione internazionale verso la violazione dei diritti umani nei paesi del Golfo.

Amnesty International aggiunge che Thamer e Sultan erano stati detenuti in isolamento per tre mesi e mezzo, senza accesso ad una vera assistenza legale durante il processo. Inoltre, durante gli interrogatori, sono stati torturati e minacciati in vario modo pur di estorcere loro le confessioni successivamente usate per condannarli a morte. Sultan, prosegue Amnesty, è stato torturato a tal punto da essere stato ricoverato in ospedale per dieci giorni. All’inizio di maggio l’Ufficio dell’Alto commissario per i diritti umani delle Nazioni Unite aveva nuovamente criticato la legge saudita sul terrorismo del 2017 perché «eccessivamente vaga» e «non in linea con il diritto internazionale».