Visioni

Rivoluzioni minimaliste nell’archivio visionario di Arthur Russell

Rivoluzioni minimaliste nell’archivio visionario di Arthur RussellArthur Russell

Note sparse Esce «Picture of Bunny Rabbit», un album che contiene tracce incise tra il 1984 e il 1986 e mai pubblicate

Pubblicato più di un anno faEdizione del 2 agosto 2023

Una lunga storia d’amore: intrecci, flirt, botte pazzesche e fulminanti di adrenalina. Sali e scendi repentini. Arthur Russell si è dedicato all continua ricerca di cose nuove, per scoprirle, farle proprie, assaggiarle, viverle, sperimentarle, abbandonarle e poi riprenderle. Prolifico, compulsivo, si narra addirittura che nello sconfinato archivio, ancora oggi rimasto inesplorato, ci siano almeno due o tre versioni delle stesse canzoni: tutte belle, ognuna, a modo suo, potrebbe far parte di un disco. Let’s Go Swimming, per citare il caso più eclatante, vanta otto versioni differenti. Una pratica che svela la sua forza, la ricerca certosina della perfezione, ma anche una grande insicurezza. Personaggio introverso, schivo, aveva solo una certezza: dover fare musica. Raramente soddisfatto delle proprie opere, di natura apparentemente timida e mai pacata, Russell ha lasciato molte delle sue composizioni incomplete. Affascinato dalle linee di basso orientali e dalle percussioni, che ha usato non come ritmiche ma come texture, ne ha fatte tante, anche se non ha vissuto molto.

Un lavoro in sottrzione, dove filtrava post punk, nu wave ma anche pop, funk e elettronica

DOPO LA SUA MORTE, il partner Tom Lee si è posto come obiettivo quello di rispolverare l’archivio del compagno scomparso nel 1992: un cancro, connesso all’Aids che da anni ne minava la forza. E l’ultimo capitolo di questa opera arriva in questi giorni in commercio e si intitola Picture Of Bunny Rabbit. Tutti pezzi incisi tra il 1984 e il 1986, nelle stesse sessions in cui Russell – originario dell’Iowa, che a soli 18 anni finì in una comune buddista a San Francisco prima di stabilirsi a New York – incise World Of Echo, il suo secondo e acclamato album.
Violoncellista, polistrumentista, compositore, autore di canzoni in grado di rendere pop anche la più visionaria delle sue sperimentazioni: un bianco riconosciuto dal panorama afro come uno dei migliori musicisti disco, con una forte attitudine al funk ma anche alla musica contemporanea, quella sperimentale, la minimalista, il post punk e le avanguardie. Philip Glass lo ha definito come il più eccentrico della community di East Village, lo storico quartiere di Manhattan dove si incontrarono i grandi artisti e si mescolavano per dar sfogo alla loro rivoluzione tra la metà degli anni Settanta e i primi Ottanta. Brain Eno e David Byrne ne hanno subito l’influenza, quest’ultimo persino collaborando con lui (sono di Russell i violoncelli della versione acustica di Psycho Killer dei Talking Heads) nella band Dinosaur L insieme a Nick Siano, dj non da poco visto che fu resident al The Loft, al The Gallery e il primo del mitico Studio 54.
Arthur Russell non fu campione di incassi con i suoi dischi, ma la sua musica rimane tuttora attuale e tra le più di avanguardia nella storia recente. Ha lasciato un impero di tracce mai pubblicate e mai finite. Fuzzbuster è un trittico: c’è tutto il suo modo di suonare, in sottrazione, giustapponendo le varie correnti musicali di quel periodo, il post punk, la nu wave, ma anche il pop, il funk, l’elettronica primordiale minimalista e gli echi della musica orientale.

UN GIORNO stava passeggiando in un parco, probabilmente nelle pause tra una lezione di musica classica indostana, di musica orientale o durante le prime nozioni di elettronica, quando, vestito con una stranissima uniforme mongola, incontrò il poeta della beat generation Allen Ginsberg con cui cominciò a lavorare accompagnandolo col violoncello, sia come solista che nei gruppi dove Ginsberg leggeva quelle poesie che avrebbero lasciato un solco indelebile nella storia della letteratura del Novecento.
E anche nella grana di Russell, ascoltare Not Checkin Up per crederci. Il padre era un ammiraglio, da lui ha ereditato ben poco, ha preferito l’ammutinamento, però il grande amore per il mare sì: da lì quella voce eterea, da efebo, liquida, immersa nell’oceano (The Boy With A Smile). Un prisma incredibile di stili e linguaggi, citato durante l’epopea della house, dell’acid jazz, fino ai più recenti Todd Terje e a James Blake. Ma, quasi sicuramente, destinato a vivere a lungo, in mille musicisti, in mille stili, mille codici.

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