Ha una scrittura secca e di dimessa efficacia, francescana come la città di Assisi dove è nato il libro d’esordio di Sandro Baldoni, regista dell’indimenticabile Strane storie e delle campagne pubblicitarie di questo giornale, una delle quali con uno slogan che in tempi di disfatta della sinistra provoca in noi una certa nostalgia e un monito per non abbassare la guardia: «La rivoluzione non russa».
Occhi selvaggi (edizioni e/o, pp. 192, euro 18) è un notevole romanzo di formazione ambientato nelle terre selvatiche di Monteacuto, dove «dal tramonto in poi il ghiaccio s’impossessava di tutto», tra le montagne umbre che sono state anche lo scenario del suo documentario, La botta grossa, girato dentro le ferite umane e tra le pieghe della terra terremotata con cui questo romanzo si collega e al quale presta un po’ della sua biografia, raccontando di quelle geografie appartate e sconosciute un’altra età della Storia. Tutto inizia quando il narratore Marco Primavera, un bambino di sei anni, terzo di quattro figli, arriva con la famiglia a bordo della Bianchina Panoramica a metà degli anni ’60 per seguire il padre Valerio, «lu professore», insegnante d’italiano.

MONTEACUTO è un luogo selvatico dove bestie e animali hanno un rapporto ancora molto forte e in cui «dominava l’equilibrio primitivo delle cose», una antropologia che l’autore costruisce con abilità sin dalle prime pagine quando il lettore entra in questo mondo arcano dove gli occhi bambini, per l’appunto «selvaggi» (primitivi, così come piacevano a Pier Paolo Pasolini) del protagonista guardano con stupore e timore il mondo degli adulti. Dentro ci sono tutti i riti di passaggio del gruppo di ragazzi che frequentano Marco e i suoi fratelli, le prove di forza, di virilità e di coraggio, la scoperta del sesso, le prime motociclette, come il MotoBI Benelli 49 cc Special monocilindrico a due tempi, il gioco del calcio e una memorabile partita contro il Milan di Rivera e Nereo Rocco.

INTORNO UN PAESE fatto ancora di gente arcaica, Spartaco il cantoniere, Settimio lu postino, Armando figlio del gobbo, con un controllo sociale fortissimo ma dove nessuno è mai solo, dove «nella gente, nelle piante, nella terra c’è qualcosa di tuo, che anche quando non ci sei resta ad aspettarti» come scriveva Cesare Pavese. È un’Italia lontana e coercitiva, comunitaria, quella che racconta Baldoni, quasi refrattaria all’epoca, dove i boati del boom arrivano a piccole dosi, ma proprio per questa lentezza, tipica dei microcosmi di provincia e delle aree interne, le trasformazioni si vedono meglio; comincia a dissolversi la civiltà contadina e anche nelle piazze del borgo più remoto arrivano gli oggetti costruiti con la plastica Moplen, i fumetti di Alan Ford, i Beatles, e il primo televisore a casa del medico condotto, il dottor D’Acunto, dove il protagonista e la banda dei ragazzini del paese avrebbero «visto partire con smodata esaltazione la sigla di Rin Tin Tin», ma dove fa capolino anche la Storia tragica del mondo, le immagini del presidente americano John Fitzgerald Kennedy colpito dai proiettili di un fucile, mentre la moglie cerca di proteggerlo.

MA IL VERO CUORE del libro è la storia di Marco e della sua famiglia, i Jolly tra le categorie umane del paese, la piccola epica di suo padre e dei suoi tre fratelli Eva, Francesco e il piccolo Giovanni, che persa prematuramente la madre Matilde, paziente e «con una grande abilità per il disegno», diventano «i figli di tutti», la loro capacità di resistere con coraggio alle avversità della vita senza perdersi, anzi paradossalmente riuscendo a dare il meglio di sé – come spesso accade – durante i momenti più difficili. La storia dell’insegnante di lettere che per sbarcare il lunario mette in piedi un allevamento di galline ovaiole e si trasforma in venditore di prodotti avicoli, poi alleva lumache, inquieto ma sempre presente nella vita dei figli, vedovo e smodatamente donnaiolo, «forse perché in quel periodo aveva solo addosso la disperazione di chi, dopo aver perso la vera donna della sua vita, penzola disorientato nel vuoto».

Arriverà il terremoto, uno dei tanti, «più o meno ogni vent’anni arrivava una sequenza di scrolloni che faceva ballare ogni cosa», anche un tremendo incendio doloso che distrugge gli allevamenti, ma i Primavera riusciranno sempre a farcela, i ragazzi prenderanno la via dei collegi, poi nei loro anni giovani incontreranno la politica, il Movimento studentesco, i primi vagiti del ’68 e dei giovani in rivolta, negli anni in cui Neil Amstrong e Buzz Aldrin, «vestiti come palombari», scendevano dall’Apollo 11 per mettere per la prima volta piede sulla luna.