Cultura

Ritratti di sante e supplizi

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Poesia «Testa rasata», l'ultima raccolta di Maddalena Capalbi, per Moretti&Vitali editori

Pubblicato più di 9 anni faEdizione del 24 febbraio 2015

Testa rasata, la nuova raccolta poetica di Maddalena Capalbi (Moretti&Vitali editori, pp. 60, euro 7) è una galleria di figure femminili. Mariolina De Angelis, nella sua intensa prefazione, definisce queste figure «esemplari e dolenti». Sono principesse in devozione, umili contadine, mistiche oranti nei conventi o mogli oppresse in casa. Figure mistiche che oggi sappiamo reagenti a una logica di oppressione, nel vilipendio del corpo e delle anime, tenute in scacco da Storia e Chiesa, schiacciate tra gli archetipi della santità femminile. Maddalena Capalbi le chiama per nome: Barbara, Teresa, Irene, Chiara… e i versi sono essenziali, come tratti di lapis.

Attraverso le poesie brevi e disadorne queste figure femminili tornano a noi e ci allertano in una piccola luce, orientante nel nostro buio. Donna che scrive, Maddalena Capalbi nel suo modo poetico ne raduna alcune, prima oppresse poi sante, traendole da una fitta schiera disseminata nei secoli.
Maîtres à penser, cioè vere e proprie maestre, con vis profetica hanno incarnato singolari identità femminili tese alla mediazione col divino. Ora Maddalena Capalbi ne ritrae poeticamente alcune. Lo fa con le sue parole, stemperando la sua scrittura in quadri rapidi, violenti. A partire da Agata, la più amata in Sicilia, nata laggiù nel lontano 238 d.C: fatto il suo voto di castità, nessuno riuscì a convincerla a sposare tal pretore Quinziano, neppure le più atroci torture, fino alla morte, sembra, sul rogo. «E la gente intorno sgomitava per vedere». Incontriamo Agnese, incontriamo Chiara, lei che qui compare «con la fronte tatuata», incontriamo Teresa d’Avila («voglio che si crei un vuoto/ tra me e il cuore, l’insaziabile tua richiesta/ è un supplizio»).

Nel piccolo libro le figure si susseguono come esposte in una galleria, cioè un luogo lungo e stretto, in una cruda oscurità: oscurità della Storia e nostra oscurità, come sorelle. Poesie come testimonianza, parole che agitano la memoria. Anime ferite a morte, sorellanze millenarie che si lanciano avvertimenti attraverso i secoli. Come nel lampo di Lucia.

Lucia, proprio lei, la celebre portatrice di luce, uccisa con colpo di spada, e qui ritratta «in cerca della Grazia illuminante». Dov’è questa grazia illuminante? «La storia è un duello, non c’è morale», scrive Capalbi tratteggiando Barbara, oggi venerata come protettrice dei minatori, mentre con il nome Santabarbara sono indicati i depositi di esplosivi e munizioni. «Perché nessuna lingua contiene l’anima», dice ancora l’autrice. E allora dov’è l’anima?

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