Cultura

Ritratti di resilienti in Laguna

Ritratti di resilienti in LagunaIl vitigno di Gianluca Bisol a Mazzorbo

Racconti «Profili veneziani. La Venezia che non ti raccontano» (casa editrice El squero), un insieme di storie di vita raccolte in un libro, frutto della rivista ytali, diretta da Guido Moltedo

Pubblicato più di 6 anni faEdizione del 14 giugno 2018

L’affermazione che un «nativo veneziano» è una «persona differente», per una diversa maniera che ha di stare al mondo, può irritare. Sembra sprezzante nei confronti di chi veneziano non è; e stride con l’immagine di Venezia: città unica ridotta a una specie di Disneyland, invasa dai turisti e a rischio per le grandi navi. Profili veneziani. La Venezia che non ti raccontano (casa editrice El squero, pp. 200, euro 14), libro di storie e conversazioni su e con veneziani contemporanei, sbianca il cliché della Venezia da cartolina. Non nega le difficoltà del vivere in Laguna né rovescia il dato del calo demografico. Mostra però la resilienza dei suoi cittadini, proporzionalmente maggiore che a Roma o Firenze; e fa emergere i tratti della venezianità.
Frutto della rivista ytali, del direttore Guido Moltedo e dei collaboratori Marita Bartolazzi, Enzo Bon, Roberto Calabretto, Manuela Cattaneo della Volta, Giovanni Innamorati, Claudio Madricardo, Marco Milini, Pieralvise Zorzi, Profili veneziani, con copertina di Fabrizio Olivetti, è un libro carismatico, che presenta menti e braccia di talento. Insegna la differenza fra «lavorare» e «lavorare bene».

NELL’ARTICOLO 1 della Costituzione, «L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro», è ovvio che quest’ultimo debba esser fatto bene. Ma a vedere i risultati in politica, nella giustizia, nei servizi sociali, così scontato non è. Questo lavorare bene è il minimo comun denominatore dei veneziani nativi, che si tramandano l’ingegno dell’avere realizzato la cosa più improbabile al mondo: costruire una città sull’acqua. Molti hanno conosciuto l’alluvione del 1966, un «gomito storico» tra la Venezia del prima e quella del dopo, secondo il racconto più intenso del libro, di Leopoldo Pietragnoli, decano dei cronisti veneziani. Da allora è iniziato lo spopolamento degli abitanti e si è diffuso il refrain «Venezia muore». Il senso di precarietà ha incrementato il fenomeno del turismo «mordi e fuggi».

AI NATIVI, che qui sono modello di operosità, si alternano ritratti di veneziani d’adozione e di personaggi illustri del passato, come Luigi Nono, Giacinto Gallina, Alvise Zorzi e Remigio Barbaro, scultore la cui casa studio ha affascinato Rossana Rossanda e che ha scelto la colorazione delle facciate di Burano. Fra i contemporanei di spicco Gianpaolo Scarante, già diplomatico ad Atene e ad Ankara-Istanbul e presidente dell’Ateneo Veneto, si batte per una rivalutazione a Venezia dell’area del Mediterraneo: il mare da cui oggi dipendiamo per la nostra sicurezza è potenzialmente fonte di prosperità per l’Europa.

SCIALOM BAHBOUT, rabbino capo della Comunità ebraica di Venezia, benedice lo sviluppo della diversità mostrata al ghetto, come una tendenza che l’intera città potrebbe seguire.
Contro l’appiattimento generale i veneziani che non si vedono tolgono alla città l’etichetta di sistema della monocoltura turistica e introducono altri tipi di economie, orientate alla cura del territorio, al design, alla gastronomia. Chi mai immaginerebbe che l’orto più bello del mondo è alla Giudecca? Michele Savorgnano vi pratica la permacultura: coltiva più il suolo con la concimazione naturale che le piante, «esseri aerei che hanno radici solo per non prendere il volo». Gianluca Bisol fa crescere a Mazzorbo, in un vitigno del XV secolo, l’uva degli antichi veneziani, il Dorona. Ha fondato Venissa, progetto che integra offerta turistica sostenibile con le tradizioni locali, coinvolgendo anziani, bambini, merlettaie, pescatori. A Santa Marta, invece, Thomas e Cinzia hanno aperto il ristorante Tecia vegana, che smentisce l’idea del nutrimento vegano come rinuncia al gusto.

MOLTI RESILIENTI di Venezia sono inevitabilmente «poeti», non solo i letterati Carla Vasio, Peg Boyers, Gregory Dowling e Maria Luisa Semi, ma il sassofonista dei Pitura Freska Marco Furio Forieri, l’ottico del marchio Micromega Roberto Carlon, inventore di occhiali resistentissimi di solo filo di titanio, e i designers di sci Franco e Angela Sonzogno. Gli Stradivarius, perché «vanno come un violino»: la scocca, al posto del metallo, ha il legno stagionato delle gondole.

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