Ritorno di canapa, il made in Italy riscopre la foglia
Il fatto della settimana Espulsa dal mercato negli anni ’50 dalle fibre sintetiche, la canapa naturale rimette le radici. Un’industria «eco» per molti usi. E la domanda cresce
Il fatto della settimana Espulsa dal mercato negli anni ’50 dalle fibre sintetiche, la canapa naturale rimette le radici. Un’industria «eco» per molti usi. E la domanda cresce
Ma esiste una canapa «industriale»? La canapa è una pianta che come tutte le altre ha diverse varietà, un po’ come il geranio che può essere a foglia scura, odoroso, ricadente o rampicante. Quindi parlare di canapa «industriale» diversa da quella «terapeutica» o «ludica» è una forzatura, e perfino la classificazione più ricorrente e attendibile tra indica, sativa e ruderalis non è universalmente riconosciuta come valida. Al di là delle controversie filogenetiche e tassonomiche, resta il fatto che la canapa è un’unica specie caratterizzata da un’incredibile numero di varietà diverse. Approfittando della variabilità della canapa, nel tempo e con la selezione, l’uomo ha sviluppato alcune varietà in base ai numerosi utilizzi, che dalle tessiture si estendono a carta, cordami, alimentazione, cosmesi, farmaceutica, ecc.
DELLA PIANTA DELLA CANAPA, come si dice anche in altri casi, non si butta via niente. Tutte le parti di cui è composta possono essere utilizzate per scopi differenti. La fibra può essere impiegata per la produzione di carta o filati e tessuti. L’Italia lo sapeva bene fino agli anni Cinquanta, quando era ancora il terzo esportatore mondiale dopo Russia e Francia. Le aree dove era concentrata la produzione erano il bolognese/ferrarese e il casertano (fonte: Assocanapa). Una vera eccellenza del made in Italy, scomparsa con l’arrivo massiccio e prepotente sul mercato delle fibre sintetiche. Dai semi si ottiene tra il resto olio e farina, le cui proprietà nutraceutiche sono assodate. Il canapulo, la parte legnosa della canapa, è molto versatile e utile in bioedilizia, mischiato alla calce per esempio si ottiene un materiale traspirante, isolante ed ecocompatibile, ma è anche indicato per la produzione di pannelli. I fiori di alcune varietà oltre che essere universalmente noti per le proprietà rilassanti e stupefacenti, sono preziosissimi in medicina e cosmetica. Producono infatti la resina dove si concentrano i noti principi attivi, il più famoso Thc e il Cbd di più recente scoperta (solo per citare i più conosciuti, i principi attivi della canapa sono centinaia), presenti comunque in tutta la pianta. Non solo. In Basilicata l’associazione Lucanapa, attiva da diversi anni nella coltivazione e ripresa della canapa, sta portando avanti un importantissimo progetto di ricerca, Fitofibra, in collaborazione con l’Università della Basilicata. Sui terreni inquinati dai residui dei reflui petroliferi in Val d’Agri, la capacità fitodepurativa della canapa, ovvero la sua capacità di assorbire elementi inquinanti presenti nel terreno, potrebbe risolvere in parte il dramma delle conseguenze dell’estrazione del greggio, riportando un po’ di speranza in un’area molto depressa proprio a causa delle trivelle. In Puglia la Coldiretti ha lanciato un’idea del tutto simile, proponendo di coltivare canapa nei pressi dell’Ilva di Taranto.
Altri vantaggi dal punto di vista ambientale: è una coltivazione con un impatto sull’ambiente in positivo, assorbe più CO2 di quella che produce nel suo ciclo di vita. Richiede una quantità decisamente minore di pesticidi e una quantità minore di acqua rispetto ad altre coltivazioni. È nettamente meno inquinante rispetto al cotone.
NON SOLO ASSOCIAZIONI DI SETTORE, come Assocanapa e Federcanapa, ma anche fiere, come Canapa Mundi a Roma o IndicaSativa Trade a Bologna, e tante realtà locali sono nate in Italia negli ultimi anni intorno all’argomento: Canapuglia, Toscanapa, Lucanapa, Canapa Ligure, Canabruzzo,… La varietà e la ricchezza di queste esperienze è notevole. Sono tutte realtà accomunate da una sensibilità spiccata verso l’ambiente e dalla volontà di trovare una strada economica sostenibile, anche dal punto di vista umano. In molti casi intorno agli agricoltori che dedicano alcuni ettari alla coltivazione della canapa si crea una rete fatta di panetterie, birrifici, pizzerie, ristoranti, negozi e attività di vario genere che trasformano il raccolto e lo rivendono direttamente. Canapa a Km 0 insomma. Molti di loro portano avanti attività didattiche e di divulgazione. Purtroppo ad oggi non si tratta ancora di un’economia consolidata e non sempre le cose vanno lisce. Chi si cimenta nella reintroduzione della canapa, lo fa prima di tutto perché crede in un’alternativa alle plastiche e alle fibre sintetiche, pensando al futuro, ma la situazione in Italia è molto complessa. Bisogna dire che di per sé, oltre ai vantaggi di cui abbiamo parlato, la coltivazione della canapa ha alcuni svantaggi.
LA TREBBIATURA È BEN PIÙ COMPLICATA e costosa rispetto ad esempio al grano. Il costo di lavorazione nel tessile è importante tanto che il prezzo del lavorato finale è troppo alto rispetto ai prodotti che arrivano dalla Cina o dal Canada. A questi si aggiungono gli svantaggi di una situazione nazionale dove non esiste più la filiera, non ci sono grossi investimenti pubblici e gli impianti di prima trasformazione sono pochi e a carico dell’iniziativa dei privati. In Italia ci sono due impianti di prima trasformazione. Quello in Piemonte a Carmagnola, di Assocanapa, i primi ad aver ripreso in Italia la coltivazione e la lavorazione della canapa. E quello a Taranto di Rachele Invernizzi e della sua SouthHemp Techno. Entrambe realtà molto solide e attive. Non è possibile quantificare gli ettari totali attualmente coltivati a canapa in Italia nell’ultimo anno, non esistono stime ufficiali. Secondo Federcanapa nel 2017 si era a circa 2700.
NEL 2017 È ENTRATA IN VIGORE LA LEGGE per la promozione della filiera della canapa, frutto di un lungo ciclo di audizioni in commissione agricoltura in cui gli agricoltori sono stati chiamati a raccontare la propria esperienza evidenziando le difficoltà. La legge «reca norme per il sostegno e la promozione della coltivazione e della filiera della canapa (Cannabis sativa L.), quale coltura in grado di contribuire alla riduzione dell’impatto ambientale in agricoltura, alla riduzione del consumo dei suoli e della desertificazione e alla perdita di biodiversità, nonché come coltura da impiegare quale possibile sostituto di colture eccedentarie e come coltura da rotazione». Il limite del Thc presente nelle infiorescenze consentito viene spostato dallo 0,2% al 0,6%. Vengono anche destinati 700mila euro al finanziamento della coltivazione. Si tratta di un buon inizio, ma di certo molta strada è ancora da fare. Basti pensare ad esempio che «le varietà di canapa (Cannabis sativa L.) coltivabili devono essere iscritte al Catalogo comune delle varietà delle specie di piante agricole (articolo 17 della direttiva 2002/53/CE del Consiglio del 13 giugno 2002)». Questo pone un freno alla ricerca di sementi tradizionali autoctoni, praticamente scomparsi, ma che potrebbero rappresentare una vera ricchezza. Si è ancora in attesa poi che il Ministero della salute fornisca i limiti del residuo di Thc negli alimenti, senza il quale in Italia il commercio di olio (che può contenere percentuali di Thc superiori allo 0,6%) e di altri alimenti viene penalizzato. Rimane anche un po’ incerto un altro aspetto.
NONOSTANTE LE NOTIZIE RIPORTATE dai canali istituzionali, secondo cui con la legge viene abolito l’obbligo per l’agricoltore di denunciare il raccolto ai carabinieri, Assocanapa segnala che l’obbligo permane anche con la nuova legge, e consiglia i coltivatori di farlo comunque. Insomma, oggi il percorso di chi vuol coltivare la canapa a uso industriale è ancora irto di ostacoli e privo di quel reale sostegno di cui avrebbe bisogna per crescere davvero
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